Perché l’immagine di san Giorgio nella Pala di Dario Varotari?
Dario Varotari nella pala della chiesa di Voltabrusegana, dipinta nel 1576 su commissione delle monache benedettine di San Pietro, sollecitate a ciò dal vescovo Nicolò Ormaneto durante la visita pastorale nel 1572, effigiò, oltre alla Madonna in trono con il Bimbo, i santi Martino, gli apostoli Filippo e Giacomo il Minore, e Giorgio.
Chiaro il motivo della presenza di Martino: cavaliere generoso che dona il mantello al povero, aiutando chi nel bisogno. La sua devozione attecchì presto in Occidente (IV secolo) soprattutto fra la gente povera delle campagne e Padova, nella Basilica di Santa Giustina, ornò le sue pareti con splendidi mosaici rappresentanti episodi della sua vita, testimoniati nel VI secolo da Venanzio Fortunato. Una devozione quindi tanto cara alla famiglia Benedettina, come quella a san Giorgio. Infatti in riviera Tito Livio esiste ancora la struttura dell’ex chiesa di San Giorgio, nel cui monastero, fin dal 1509, vennero allocate le monache benedettine. Il dipinto dell’altar maggiore, opera del secentesco reggiano Antonio Triva, rappresentava “san Giorgio in sella a un cavallo in corsa con accanto una regina”.
Normale che le benedettine di Voltabrusegana scegliessero in Giorgio un santo non solo a loro caro, ma di facile presa sulla popolazione semplice, pronto a evadere le attese di chi l’invocava nei quotidiani bisogni materiali e spirituali. Non risponde a un caso che nel 1481, nella dichiarazione dei redditi della parrocchia, la chiesa risulti intitolata, per la prima volta, a San Martino e a San Giorgio. Questi doveva, nell’immaginario collettivo del cristiano, risultare un impavido cavaliere, ricco di fulgore e per questo assai vicino al trono di Gesù.
Gli inventari volticelliani, pur testimoniando la presenza di reliquie varie (preziose quelle del velo della Madonna e del legno della santa Croce), non ricordano alcunché di Giorgio. Forse per tale motivo la devozione a lui, affascinante intere generazioni di cristiani per la sua storia e per la testimonianza a Cristo col martirio, si affievolì nel tempo. La tela varotariana ci invita a ritornare alle fonti. Benché avvolto nel leggendario, Giorgio, “grande martire” per la chiesa d’Oriente, ci è di stimolo a vivere da autentici cristiani.
Un altro motivo, legato questo alla Basilica di Sant’Antonio, gioca a favore della scelta di Giorgio quale secondo patrono di Voltabrusegana.
Il 1° marzo 1380 Bonifacio Lupi di Soragna, per la dotazione della cappella di San Giacomo, nella Basilica del Santo, strepitosamente dipinta da Altichiero da Zevio, fa consegnare alle monache clarisse dell’Arcella Nuova (site in contrada San Giorgio) alcuni possedimenti in Voltabrusegana (case, casoni, forno e cinque campi) perché ne diano i frutti ai frati antoniani. Il 1° dicembre 1379 Bonifacio Lupi e fratelli, commissari di Raimondino, che fece costruire il celebre altichieresco Oratorio di San Giorgio, cede alle clarisse dell’Arcella Nuova tre pezze di terra in Voltabrusegana per darne i frutti ai frati onde celebrare, in perpetuo, determinati divini offici. Le monache corrisponderanno quindici ducati d’oro annui per ceri, paramenti, ornamenti e riparazione della cappella.
Grande motivo di vanto per Voltabrusegana: le sue terre, lavorate col sudore dei suoi abitanti, contribuiranno alla vita e allo splendore, nei secoli, delle cappelle di San Giacomo e San Giorgio! In tale intreccio di Santi i parroci d’allora avran avvertito l’obbligo di chiamare l’intrepido cavaliere della Cappadocia a occupare il posto di compatrono di Voltabrusegana.
Alfredo Pescante