L’esperienza della fragilità, della paura, della malattia ha condizionato i nostri percorsi di questi ultimi mesi e ha condizionato le nostre scelte: abbiamo sospeso e annullato tutto, perfino le celebrazioni della Pasqua, l’accompagnamento degli ammalati, la visita pastorale, la formazione dei più giovani, i funerali: tutto!
Quest’esperienza si è presentata come male, malattia, morte, lockdown ma, guidati dallo Spirito, l’abbiamo affrontata e abbiamo tentato di ricavarne il bene. Vincere il male con il bene è un’indicazione evangelica (cf. Rm 12,21), così come cercare di vedere il bene anche in mezzo al male: noi, cultori del bene per vocazione, ci siamo sentiti mandati in questa missione che però non è terminata, anzi.
Il cammino esistenziale che ha coinvolto tutti, bambini e anziani, uomini e donne, si è incontrato e si è alleato con molte delle riflessioni pastorali e teologiche che arricchivano il dibattito delle nostre comunità e della nostra Diocesi: esperienze e riflessioni si sono illuminate a vicenda.
Così, nell’impossibilità di muoverci, di convocarci in assemblea, abbiamo riscoperto il dono e la dignità del Battesimo e la sua grandezza: l’abilitazione alla preghiera a tu per tu con il Padre, la sacralità della nostra casa e della nostra vita, la missione e la testimonianza affidate ad ogni cristiano chiamato ad annunciare Gesù e il suo Vangelo, partendo dai propri figli.
L’angolo bello ha fatto pensare, ci ha arricchiti. Si è trattato del segno più indovinato di quella proposta che avevo presentato all’inizio dell’anno pastorale, quando invitavo a darci appuntamento attorno al fonte battesimale: il fonte battesimale è, per così dire, entrato nelle nostre case sorprendendoci e davvero tutti eravamo forti soltanto della certezza del Battesimo.
Sempre in obbedienza ai nostri difficili giorni e al nostro tempo (una volta si citava spesso l’espressione conciliare dei “segni dei tempi”), si impone un altro passo da compiere. Non nasce a tavolino – anche se tavoli di lavoro e di confronto ne ha attraversati tanti e da ciascuno ha raccolto un contributo -; nasce dall’urgenza di dare una risposta alle persone fragili, quelle che già sono in difficoltà e quelle che prevediamo cadranno vittime delle conseguenze del coronavirus sul piano economico e sociale. È un’urgenza che non possiamo non vedere.
I poveri non ci chiedono però una nuova organizzazione o delle strutture ma domandano prima di tutto comprensione, ascolto, vicinanza, tenerezza: non un dono materiale e individuale ma spirituale e collettivo, uno stile comunitario. I poveri ci chiedono calore umano e amore, speranze e Speranza. Di questi doni dobbiamo fare provvista alla scuola del Vangelo.
Sento crescere dunque questa domanda dei poveri e con tutto il cuore la presento alle comunità cristiane: Dove possiamo trovare questi beni, questo pane? È il pane dell’amore, dell’amicizia, della fraternità! Quando qualcuno di noi, umiliato e bastonato, avrà bisogno di sostegno, dove potrà raccontare le sue amarezze, la sua disperazione e trovare comprensione? Per favore, non dite «vai dal parroco» oppure «vai alla Caritas!».
E se avessimo la grazia di aver avuto in dono un cuore attento al fratello bisognoso, che cosa abbiamo da offrire? E anche qui, per favore, non diciamo pasta o vestiti o soldi! Tutti coloro che busseranno alle porte delle nostre comunità devono trovare un fratello e una sorella che sa stare accanto a
loro, che li ascolti, li incoraggi e li sostenga… con il cuore innanzitutto, cioè con amore, con l’Amore, con il “pane buono”. Non è vero forse che, se fossimo più poveri, sapremmo capire meglio e forse saremmo più ricchi di umanità? Il “pane buono” è il pane che unisce ascolto e azione e va ben oltre quanto possiamo trovare presso gli sportelli dell’assistenza pubblica o privata e dei servizi sociali. È pane di fraternità, di cammino condiviso, di giustizia cercata insieme.
Il “pane buono” di cui i poveri hanno bisogno è pane semplice, di cui tutti possono disporre, anche i poveri stessi.
Le nostre Liturgie ci offrono ogni Domenica la Parola del Signore Risorto, ci nutrono con il Pane eucaristico, cioè la vita divina di Gesù, perché noi stessi diventiamo “pane buono” per i nostri fratelli e sorelle e sappiamo amare in memoria di Lui. Da lì troviamo forza per stare insieme, per ospitare, per lenire le sofferenza, per guardare al futuro con speranza. Era anche tutto questo che ci è mancato in questi mesi?
A partire da qui possiamo immaginare una possibilità di rinnovamento per le nostre comunità: dal Vangelo che si fa “pane buono” e che consumato diventa Carità, amore, fraternità “per voi e per tutti”.
A partire dall’urgente appello dei poveri, siamo chiamati a ripensarci, a ringiovanirci nel cuore, a ritentare di edificare quelle comunità del Vangelo che parlano del Signore con la vita. È una grande opportunità per le nostre comunità per darsi un volto credibile e accogliente.
Queste comunità che nascono dalla fragilità umana, con l’aiuto dello Spirito del Risorto, sanno testimoniare e vivere la Carità, il “pane buono”!
Ne siamo certi: il Signore è la nostra forza!
+ Claudio, vescovo