Dal Vangelo secondo Giovanni
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Il brano rimanda all’attività dei pastori. Per capire meglio la metafora di Gesù quale pastore bisogna considerare cosa erano, allora come fino a qualche decennio fa, un pastore ed il suo gregge. Si trattava di qualcosa di unico. Le pecore costituivano una sola unità assieme al pastore: quasi un insieme dotato di unità di intenti nonostante la differente natura. Questo permette di capire meglio il rapporto del credente con Gesù e di riflesso il rapporto del cristiano con Dio Padre. La fede, dunque, è sorgente di intimità ma anche l’intimità è alimento della fede. In un rapporto profondo rivelazione e dono coincidono.
O Padre Onnipotente, conservaci nella tua intimità e fa’ che la comunità sappia apprezzare il dono della fede.