Dal Vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deser-to: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Nei dibattiti accademici si parla spesso di “nuovo umanesimo” e di “post-umano”.
Tra le varie posizioni c’è chi esalta e accoglie con bontà i progressi della scienza e della tecnica rilevando come essi valorizzino l’umano in quanto conquiste che portano a sviluppare l’uomo nella sua interezza. Personalmente mi trovo concorde con questa posizione che tende a sottolineare tutti quei talenti che l’uomo ha quali espressioni dei suoi valori e delle sue caratteristiche.
Di converso c’è anche chi considera il “post-umano” (che in realtà non coincide del tutto con il “nuovo umanesimo”) soprattutto guardando ai rischi che il progresso tecnologico e scientifico possono portare, ad esem-pio per quanto concerne il rapporto uomo/macchina, intelligenza natura-le/intelligenza artificiale, nanotecnologie…; anche di questa seconda posizione condivido molte riflessioni.
Penso, poi, a Giovanni Battista: lui “non è la luce” ma “rende testimonianza” alla luce. Il Battista è un uomo che si autocomprende come un “essere testimonianza” di una luce altra da sé, e mi fa ricordare che l’uomo è davvero importante, al punto ad essere immagine e somiglianza di Dio, ma non è lui il centro.
Durante il primo lockdown qualche mio collega teologo ha detto che la pandemia ha segnato la morte di Dio: tutto è stato gestito dalla scienza, dalla tecnologia e dalla medicina. In un primo momento, questa affermazione mi aveva effettivamente colpito e coinvolto.
Durante la cosidetta “seconda ondata” che stiamo ora attraversando, si sta facendo avanti però anche un altro pensiero: scienza e fede non sono che in apparente contrasto; medicina e tecnologia, scienza e istituzioni non sono riuscite a preservarci dalla prima inattesa ondata ma neppure dalla seconda che era certa e prevedibile. Certo tutte le forze che si mettono in campo sono buone e utili, l’impegno degli uomini allevia molte sofferenze e sono convinto che que-sto corrisponda a quello che Dio vuole da noi uomini, ovvero che ci aiutiamo e ci sosteniamo senza chiuderci in noi stessi. Tuttavia si paventa anche che tutto ciò non è sufficiente: forse
Dio non è morto! Forse aspetta. E perché? Questa è una domanda “vera” nel senso di autentica, alla quale è difficile dare una risposta consistente e convincente; ora non ce l’ho e anche se ce l’avessi probabilmente non la direi. Mi interessa di più tenere aperta la domanda per cercare una risposta: inizio a “ri-comprendere” che scienza e fede possono coesistere in una relazione di mutuo soccorso.