Quando ho sentito Papa Francesco fare questa affermazione non nascondo di essere rimasto alquanto perplesso ritenendola, in prima battuta, un’espressione fatta con enfasi forse soprattutto per incoraggiare a un’accoglienza maggiore. Nove giovani della nostra comunità, accompagnati da alcuni adulti, durante la scorsa settimana si sono recati a Roma, non per uno dei tradizionali pellegrinaggi, anticipando l’anno giubilare, bensì per vivere un “pellegrinaggio” verso i poveri; si è trattato di un camposcuola per giovani di servizio presso le strutture della Caritas romana.
Raccogliendo dalle parole dei ragazzi, nella vita quotidiana emerge una certa difficoltà nell’avvicinarsi ai poveri che è stata però superata, almeno in quella settimana, grazie a delle strutture a un’organizzazione come quelle della Caritas che permettono di far incontrare vite così diverse. Sono sempre i ragazzi a ricordare i sorrisi, le storie e i nomi: Ferdinad, rifugiato politico e laureato in legge, Daniel, rumeno che vive in una baracca sul litorale ostiense, Antonio, anziano di Roma abita in casa propria ma non riesce, oltre l’affitto, a mantenersi. Volti di immigrati come pure di italiani, di anziani e di giovani, di persone che avevano un lavoro e una certa posizione economica e che la crisi o l’usura o il gioco hanno ridotto in povertà.
Poveri possiamo divenire anche noi: la vita è imprevedibile, si possono compiere degli sbagli e trovarsi in situazioni precarie. La vita può riservare solitudine ed essere soli significa anche divenire poveri, cioè non riuscire ad essere autosufficienti in tutto. Certo abbiamo incontrato i cosiddetti “barboni”, ma la maggior parte erano persone come noi; c’è senz’altro chi vive nell’incuria e non ha saputo costruirsi un futuro, ma c’è anche chi il futuro l’ha visto sgretolare in pochi anni.
Sempre dalle testimonianze dei ragazzi si rileva come questa esperienza abbia contribuito al superamento di alcuni pregiudizi e delle normali paure che avvertiamo in noi: è normale avere timore di persone sconosciute e che vivono per strada, che puzzano perché non possono lavarsi, che si ubriacano perché afflitte; servire alla Caritas, in un clima sereno, ha fatto sperimentare che è possibile avvicinare queste persone con tranquillità, donare e ricevere sorrisi e parole buone, scambiarsi la vita.
I poveri, di primo acchito, sono un problema sociale, un problema economico, un problema per la sicurezza…; ma sono anche un tesoro per la Chiesa, hanno una vita da rivelarci, sono come noi.
La Chiesa tramite la Caritas, e non solo, li sostiene e li accoglie.
Pino, il responsabile di una delle strutture di accoglienza, racconta che dietro a quest’organizzazione, a questi pasti che vengono distribuiti quotidianamente, a questi dormitori che si aprono ogni sera, dietro alla possibilità di una doccia per centinaia di uomini e donne, di ricevere vestiti insieme ad assistenza medicolegale e ascolto, dietro a tutto ciò c’è la Chiesa.
I fondi delle istituzioni per i poveri sono pochi, le strutture non esistono; dice Pino che “mamma Chiesa” li accoglie e li fa sentire in una famiglia, e tutto ciò si realizza anche attraverso le nostre donazioni con il 5 per mille e l’8 per mille.
I poveri sono il nostro tesoro se sappiamo trattarli e accoglierli con giustizia e dignità.
Siamo tornati entusiasti e carichi con alle spalle un’esperienza di vita e di servizio verso chi non è stato fortunato, ma che vive giorno per giorno con dignità la sua vita, aiutato da chi si adopera quotidianamente per loro.
Enzo, un ospite del centro di Ostia in cui abbiamo prestato servizio, ci ha affidato questa poesia:
A te,
splendidamente immenso
e puro,
tu che sei la realtà
e il mistero,
tu che sorreggi
il mondo intero,
chiedo umilmente perdono!
Tutte le volte che ho peccato
e che per rabbia
ho bestemmiato
ed il tuo nome ho insultato,
chiedo perdono, mio Gesù!
Ti prego, aiutami a trovare
la strada giusta
per uscire da questo oblio
che mi tormenta,
da questa nebbia
che mi schianta.
Guida i miei passi,
o mio Signore!