Non sono certo il tipo che difende “qualcosa che è indifendibile” (se così ci si può esprimere), anzi mi reputo una persona che guarda la realtà con acribia e con occhio critico.
Spesse volte mi sono chiesto a cosa serva una sagra. La risposta immediata è: «a far soldi», anche se tutto ciò viene sostenuto dalla nobile motivazione che il ricavato va per il sostentamento delle attività della parrocchia.
Questo è certamente un piano da tenere in considerazione, se si vuole anche in modo critico, ma c’è dell’altro: in questi giorni di sagra ho avvertito alcuni sentimenti forti che descrivo con immagini, senza per questo voler enfatizzare la realtà o non voler vedere aspetti problematici.
La prima immagine riguarda il mattino, quando andavo a fare un giro in cucina oppure negli spazi esterni. Cosa ho visto? Persone che stavano bene insieme, e perché si sentivano bene facevano anche qualcosa. Se non ci fosse stata la sagra queste persone sarebbero probabilmente rimaste a casa a sistemare le loro faccende, probabilmente da sole. Amici che incontrandosi si raccontano e si confidano, ridono e scherzano, e mentre fanno tutto ciò lavano il pesce, montano un capannone, sistemano oggetti…
La seconda immagine è di sera, quando gli avventori varcavano i cancelli della nostra comunità: volti conosciuti e non che arrivavano in una “famiglia” e trovavano qualcuno ad accoglierli e a far sì che potessero vivere una serata di amicizia, magari con altri conoscenti o familiari. Anche queste persone, durante quelle sere, cosa avrebbero fatto se non ci fosse stata la sagra? Certo avrebbero trovato altre occasioni, ma non è irrilevante che sia stata proprio una comunità cristiana a prepararla e proporla.
La terza immagine è su di me (ma ciascuno potrebbe averla per sé): in quelle sere mi sono visto seduto a tavola, sono stato in piedi presso i cancelli, ho girato tra uno stand e l’altro, ma mai da solo. Ho interrotto quasi del tutto le mie attività per fare cosa? Per stare. Avevo programmato pochissimi incontri, tutto il resto è stato un “fuori programma”, ero pronto ad accogliere chiunque arrivasse, simpatici o meno (i miei sentimenti, anche se reali, non possono essere la misura degli altri), disponibile all’incontro.
Tutto ciò è per dire grazie ai tanti volontari che hanno lavorato permettendo tutto ciò, e sono sicuro che essi hanno anche ricevuto, come il sottoscritto. Voglio dire grazie, certamente, anche per l’esito economico, ma come si è capito c’è un bilancio di relazioni che non ha prezzo, un bilancio che solo la comunità riesce a dare; forse questo fa la differenza rispetto ad altre prestazioni.