«Statue molto belle, opera di uno scultore capace, vicino alla bottega dei Bonazza, anche se più rudimentali nel modello dei panneggi e dei volti». Questa la classificazione offerta da Elisabetta Favaron dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Padova alle quattro sculture in pietra dei Santi patroni di Padova, due presenti sull’altar maggiore (Prosdocimo e Giustina) e due, Daniele e Antonio, in altrettante nicchie appena fuori dal presbiterio, nella chiesa di Voltabrusegana.
Tali manufatti non hanno ancora trovato un’attribuzione certa e un’esatta datazione anche se approfondite ricerche d’archivio potrebbero fornire una risposta definitiva.
Nelle Visite Pastorali e nelle Guide di Padova non ricordo si faccia cenno a esse, né ci si è peritati, in seguito al loro trasloco dalla Chiesa della Misericordia di Prato della Valle, avvenuto nel 1813, a studiarle, proprio perché confinate in quel di “Volta”. In verità, non si parla nel Volume di “Cassa di Entrata e di Uscita”, di statue, ma solo dell’acquisto, dalla sopraddetta Chiesa, degli altari di Sant’Antonio (13 giugno), della Beata Vergine (5 luglio) e del Santissimo (20 novembre), però tutto lascia supporre che appartenessero a quell’antica chiesa delle monache benedettine.
La Chiesa della Misericordia venne fatta realizzare in forme apprezzabili nel 1545 dall’architetto bresciano Michele Bonometto, ma un secolo dopo conobbe un intervento per renderla più maestosa specie nella dotazione di altari, statue e dipinti, due dei quali, grandiosi, relativi ai santi Cosma e Damiano, tuttora presenti nella Basilica di Santa Giustina.
Le statue in pietra non sono completamente leggibili a causa dello strato di vernice e colore sovrapposto nei secoli, benché in buono stato di conservazione. Potrebbero essere opera di Giovanni Bonazza (1654-1736), capostipite della nota famiglia di scultori padovani o dei suoi figli e alunni. È certo che paiono stupende, eleganti nei panneggi, uniche e rare nella loro esecuzione.
L’effigie statica dell’egiziano vescovo Prosdocimo è iconograficamente classica: anziano, barba fluente, pastorale nella mano destra, brocca per battezzare in quella sinistra e mitria ai piedi.
Quella di Giustina risulta la più riuscita e ispirata: per la gentilezza del volto, pei capelli al vento e per la “novità” che presenta. La mano sinistra stringe una palma, segno di martirio, e la destra stringe con forza, appoggiandolo al petto, non la spada corta con cui fu martirizzata, ma un rotolo in legno, attorno al quale venivano avvolte pelli di capra su cui erano incisi brani della Sacra Scrittura. «È la prima volta che noto una simile iconografia in Giustina, – confida mons. Claudio Bellinati – indice di donna colta perché proveniente da nobile famiglia. Tiene stretto il rotolo che doveva contenere il messaggio del Vangelo da lei appreso sulle ginocchia materne».
Daniele, l’unico con lo sguardo verso l’alto, segno di ispirazione divina, pieno di vita, è rappresentato con il modellino della città di Padova (di cui risulta uno dei Patroni) sostenuto sulla destra, con la palma del martirio e in vesti diaconali. Inedita l’interpretazione, anziché di giovane, in persona “anziana”: indice d’autorità perché facilmente capo del gruppo dei cristiani patavini.
Stupenda la statua di Antonio: un riccioluto giovane, sereno, non corpulento, vestito di saio con cordone che cinge solo la vita, la mano sinistra a tenere un volume e la destra una penna. È qualificato “Dottore della Chiesa”, anche questa, al tempo, rara iconografia. Pure l’assai tarlata statua in legno del Taumaturgo, sull’omonimo altare, vanta eccellenza, risalendo, secondo Bellinati, alla fine del ’600. Mostra i classici antoniani attributi: Bimbo, giglio e libro.
Alfredo Pescante