È un Natale un po’ più partecipato e vero del solito, quello di quest’anno.
Soprattutto perché non abbiamo e non ho avuto tempo di elaborare la sofferenza provocata dalle notizie dell’indagine a carico di un nostro parroco al quale, anch’io come cittadino e come vescovo, riconosco il diritto di essere ascoltato dagli inquirenti e di difendersi dalle accuse pesanti e infamanti che gli sono mosse, in vista che si faccia piena luce e verità per tutte le persone coinvolte.
È un Natale più vero e partecipato perché vedo non i tanti sorrisi mediatici sulla Chiesa, custode del Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ma la strumentalizzazione del Natale, delle povertà materiali e spirituali umane, delle tradizioni e del folclore natalizi.
Mi sembra in questo clima, piuttosto preconfezionato, di sentire la voce consolante di Gesù e il suo abbraccio su di me.
Di riflesso, mi ascolto e dico: ho bisogno dell’aiuto del Signore! Ogni mattina celebrando qui in cattedrale le lodi con alcuni cari amici prego dicendo: «O Dio vieni a salvarmi!». E insieme rispondiamo «Signore vieni presto in mio aiuto».
Scusate il mio parlare al singolare, ma penso che, come me, tanti di voi qui presenti stasera possono sentirsi meno soli se vedono che anche il vescovo porta pesi, chiede aiuto, si affida al soccorso di Dio e vive il Natale come segno della fedeltà di Dio.
Nel nostro vivere quotidiano questo terreno oscuro, che Isaia descrive come cammino nelle tenebre, si manifesta con scandali, con confusioni e aberrazioni di pensieri e di valori, perdita di senso della vita, paura e insicurezza, guerre e atti di terrorismo: sentimenti che proviamo nelle nostre vicende quotidiane e famigliari. Queste tenebre ci raggiungono nelle nostre piazze, sia politiche che mediatiche, ci raggiungono in casa e, sconcertati, anche nelle nostre comunità ecclesiali, dove i cristiani si radunano per restare fedeli al Vangelo delle beatitudini.
Qualcuno forse, tra quelli che il Signore accarezzerebbe come “piccoli”, scandalizzato, si sta allontanando o già si è allontanato dalla fede; qualcun altro, vedendo i nostri errori, coglie l’occasione per screditare la fede in Gesù e anche le intenzioni di bene, intenzioni vere, delle nostre povere e belle comunità cristiane. Per me e per voi ho scelto una strada diversa e vi invito a
seguirmi. La strada che noi desideriamo intraprendere in queste difficoltà è quella di rifugiarci nel Signore, di invocare con maggior forza la sua venuta, di accettare la sua presenza nella nostra casa.
Sì, proprio perché siamo poveri, bisognosi, fragili. Questo è buon Natale: l’incontro tra la nostra povertà e la sua Grazia, tra la nostra stalla e la sua nobiltà.
I nostri errori, spesso provocati da una cultura edonista e violenta di cui siamo dipendenti, sono completamente nostra responsabilità, sono segno della nostra inadeguatezza e del nostro peccato, ma anche spazio di invocazione al Signore che salva. E che rende vera la nostra preghiera.
Parlando ai giovani, in preghiera, il 13 dicembre, ho immaginato di avere gli occhi di Gesù. E di alzare come fa lui gli occhi verso Zaccheo, il peccatore pubblico. Stasera immagino Gesù, posto nella mangiatoia, che apre gli occhi alla luce e ancora una volta guarda da una collocazione molto bassa il mondo. Apre gli occhi e che cosa vede?
Vede la parrocchia di san Lazzaro; vede tutte le altre comunità in difficoltà perché invecchiate e rimpicciolite, o arricchite e conservatrici, vede quelle sfiduciate e quelle sfilacciate. Vede i peccati delle nostre famiglie e dei nostri giovani, vede le colpe dei nostri uomini e donne impegnati nel costruire una città dell’uomo degna di Dio, e come vescovo mi risulta grande privilegio annunciare che oggi è nato per voi il Salvatore. È una consolazione che si appoggia sul Signore!
Apre gli occhi, il Signore, e vede il nostro presbiterio e i diaconi, vede la nostra diocesi e la nostra curia, vede me e i nostri catechisti, ministri straordinari della comunione, animatori della carità e della giustizia...
Apre gli occhi, il Signore, e ai suoi occhi presentiamo questa sera anche la nostra città di Padova e tutti i nostri comuni con la vitalità che li contraddistingue, ma che non sempre porta alla solidarietà, alla giustizia e al bene comune. È per me consolante annunciare a tutti, anche alle città e alle loro attività e iniziative, che Gesù è il vero salvatore del mondo, della Chiesa, del cristiano. E la Chiesa proprio con la veglia di questa sera accompagna nei secoli, per le generazioni che si succedono, la certezza che Gesù sceglie la povera gente, i peccatori, viene ad abitare nella nostra casa. E viene per mischiarsi tra noi, per impastarsi del nostro fango, per crescere insieme con noi.
Questo è un bel Natale!
È un Natale chiaro! Il nostro errore, la nostra debolezza, il nostro peccato sono i luoghi privilegiati di Gesù.
È un Natale vero anche per noi perché anche noi siamo poveri e bisognosi.
È Gesù il salvatore! Accettiamo umilmente di non essere autosufficienti, anche se ci mettiamo continuamente alla prova, purtroppo incerti, nel prendere quella decisione che ha portato Zaccheo a scendere dalle sue logiche per far entrare nella sua vita la vita di Gesù.
È la nostra fede in Lui che spesso viene indebolita, lasciandoci smarriti e mezzo morti lunga la strada: Lui invece è una roccia stabile. Non teme di farsi debole, di farsi piccolo, di non essere riconosciuto. Di venire a raccoglierci proprio nelle nostre povertà.
Al di là di ogni romanticismo, farsi piccolo indica condizione di rischio e di dipendenza, esclusione e insignificanza, ma così evidente che ognuno può vedere la disponibilità di Gesù anche per la sua casa e la sua persona, così come per i nostri paesi e parrocchie. Gesù si abbassa per prendere per mano il più infangato, peccatore pubblico e reo confesso. Come succede anche nelle nostre carceri dove la misericordia di Dio si manifesta con la sua forza.
Ma soprattutto un particolare di questa icona natalizia mi sembra messaggio di speranza: quando prendi in mano un bambino anche tu diventi più delicato e fine.
Un vecchio sta attento ad accarezzare con le sue ruvide mani il viso di un bimbo; anche i cuori più feriti e induriti si ammorbidiscono di fronte alla tenerezza di un piccolo; gli sconfitti dalla vita alzano gli occhi e, anche se da lontano, un piccolo sorriso sgorga tra le sue nubi; così la casa del faraone si è lasciata intenerire dal pianto di un bimbo lungo il fiume Nilo.
Mi sembra che la potenza della piccolezza consista nello strappare nascosto dentro di noi, in un angolo lontano e segreto del nostro cuore, la nostra umana accoglienza della vita, ma anche nel far sorgere dove c’è molta tristezza e dolore, la speranza.
+ Claudio, vescovo Natale 2016