Se anche Dio se ne va, dobbiamo arrangiarci. Questo è il compito e la responsabilità grande che Gesù lascia alla sua Chiesa, che siamo noi, e che dalla sua nascita sempre cerca di svolgere. La responsabilità è dono di fiducia ed essa non va confusa, anzi va vigilata, con l’autosufficienza.
In questi ultimi anni la Chiesa sta battendo in ritirata. Non sempre compresa e accolta, timorosa di sé e per tanti motivi, è uscita dalla scena pubblica relegandosi in sacrestia; ha una certa difficoltà a dichiararsi nella scena sociale (se non per opere sociali) ed è sommessa sulla scena politica. Affermare certe idee cristiane oggi non è sempre facile, affermarne altre invece permette di acquistare consensi e popolarità. Però il vangelo è uno, la persona di Gesù Cristo è una, e questo quantomeno dovrebbe essere problematizzato. Rimane sempre conveniente attestarsi sulla democrazia e sul dialogo, che in realtà si nutrono dell’esperienza pluralista, ma dire la differenza cristiana è sempre fastidioso e qualcuno potrebbe etichettarmi. Ah, non me ne si voglia, ma fa proprio per noi affinché non ce ne tiriamo fuori, per aiutarci a capire di che dialogo e di che democrazia parliamo, perché anche la condanna di Gesù è stata frutto di un quasi unanime consenso. La Chiesa sta battendo in ritirata anche nella vita pastorale parrocchiale. Piace molto papa Francesco quando parla di una Chiesa aperta in uscita, ma com’è difficile andare oltre i nostri luoghi fisici, oltre i nostri incontri, oltre la cerchia stretta della comunità. Eppure Gesù manda i suoi in tutto il mondo, a tutti.
L’autosufficienza credo sia il risultato di un doppio processo che è avvenuto negli ultimi 30-40 anni. Da un lato abbiamo una crisi di fiducia negli altri perché uno dei fondamenti della contemporaneità è il mito dell’autosufficienza. Cosa dice questo mito? In parole semplici: che ognuno di noi per riuscire nella propria vita dovrebbe mostrare di non aver mai bisogno degli altri. Dovrebbe cioè appoggiarsi unicamente su se stesso (e qui una parte della psicologia ci ha illusi) https://pharmacieviagra.com/. Il vangelo è un continuo bisogno degli altri, perfino Dio mostra di aver bisogno dell’uomo! Per l’autosufficienza, invece, la dipendenza dagli altri è vista come indice di insicurezza.
Prendiamo due termini socialmente molto utilizzati: winner e loser. Tanti di noi siano stati abituati a credere che nella società o si è vincenti o si è perdenti, non si può essere dipendenti dagli altri, essere cioè relazionanti. E chi sarebbero il vincente e il perdente? Il vincente è colui che avendo stima di sé (che non va confusa con la fiducia in sé) non ha bisogno degli altri, o meglio crede di non averne bisogno, e vive nel controllo sistematico di sé e degli atri. Dietro l’ideologia dell’autosufficienza c’è il tentativo di sfuggire a ciò che fa molta paura: la dipendenza. Se io non ho bisogno degli altri non dipenderò dagli altri e, quindi, non potranno ferirmi. Non dipendendo dagli altri potrò ottenere qualunque cosa basandomi sulle mie forze: è il mito dell’onnipotenza, l’onnipotenza della volontà. Noi siamo il frutto dell’ideologia ipervolontaristica: basta volere per potete. Lo siamo a livello culturale e religioso dove l’altro è considerato un ostacolo ai nostri desideri. E lo siamo a livello politico, dove i leader e i partiti sono sempre più figure che dimostrano di non cercare niente e nessuno, stabilendo alleanze sulla durata e sulla convenienza del loro operato, non sul bene comune, e si circondano di persone da reclutare in base al criterio di fedeltà al capo, salvo poi andarsi a schiantare contro la barriera del reale, che sempre si oppone all’autosufficienza.