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Oggi mi sono sentita dire
un grazie inatteso, inaspettato e detto di cuore. Non avevo fatto niente di speciale, avevo solo seguito il mio istinto offrendomi per un progetto al posto di una persona che stava cercando di far capire quanto già fosse oberata di lavoro. Ho già il mio da fare, un progetto enorme, ma è stato più forte di me:
il senso del noi ha vinto sul senso dell’io, perché se lei non fa bene il suo lavoro ci rimettiamo tutti, quindi distribuiamoci questo fardello.
Al grazie del capo ho risposto con un cenno di ebete imbarazzo perché inaspettato. Si fatica a capire un grazie a un atto che consideravo naturale, scontato, un reciproco aiuto tra uomini. A quanto pare ancora una volta un fenomeno non così consueto. Più facile pensare all’io, ad evitare di lavorare io, a stare bene io, a guadagnare di più io. Da qui si passa a pensare che se butto via qualcosa di vecchio dalla mia casa posso lasciarlo vicino ai cassonetti anziché conferirlo dove si deve, perché anche qui è importante la mia casa e non la nostra città.
Cartesio disse la famosa frase “penso, dunque sono” che sta a dire che, poiché penso, prendo coscienza e dignità di esistere. Nel mondo complesso, competitivo, sovraffollato, in cui viviamo, mi sentirei di proporre una nuova norma per avere conferma della nostra esistenza: siamo, dunque sono. Se tutti noi ci sforzassimo a pensarci come parte di un gruppo troveremmo un senso anche di noi stessi. Io non sono quindi come individuo se non mi penso in un gruppo, in una relazione, in una comunità, se il mio senso di esistere non si inserisce in quello che è un tessuto di persone che, esistendo a loro volta, danno valore anche a me. Quindi un grazie anche a voi che mi aiutate a sentire che sono. E anche al mio capo che mi ha fatto riflettere e mi ha regalato un preziosissimo grazie.
Rossella