Ricordo che quando ero bambino le sere del mese di maggio aspettavo con impazienza il suono della campana che giungeva dalla chie-setta situata vicino al negozio di papà e mamma. Una signora dai grigi capelli sia adoperava per tirarne la corda affinché il suono docile si diffondesse per l’intera via.
I primi ad uscire dalle case eravamo noi bambini: chi a piedi, in ciabattine e pantaloncini corti, chi a cavallo della bicicletta, si correva tutti per arrivare presto alla chiesa posta al termine della strada; a seguire era il turno dei nonni e infine delle mamme, che arrivavano dopo aver sistemato la cucina.
Il posto di noi bambini era addossati all’altare della piccola cappella, in ginocchio o seduti sul primo gradino che faceva salire vero la statua della Mamma. Eravamo così vicini a lei che sembrava ci toccasse, ci accarezzasse; era così bella e dolce, con il manto azzurro e gli occhi delicati, che sembrava quasi parlare, e in effetti aveva sempre qualcosa da dire, qualche sentimento buono da comunicare. Noi bambini recitavamo la prima parte dell’«Ave Maria», gli altri rispondevano con la seconda.
Crescendo ho lasciato questa buona abitudine, pensando ingenuamente che fosse una cosa “da piccoli”, eppure prima di addormentarmi, anche nei periodo più scuri della vita, la mia preghiera e il mio ultimo pensiero erano sempre per Maria. Una certa nostalgia di lei, come se mi fossi allontanato dalla mamma, mi rimaneva comunque nel cuore, ma era più facile soffocare questi pensieri piuttosto che prenderli sul serio.
In seminario ho riscoperto la preghiera del rosario. Ero decisamente più grande e, mentre studiavo e la mia intelligenza si allenava, qualcuno sosteneva e anch’io mi chiedevo, che cosa dovessi farmene di una preghiera che ripete sempre le medesime parole: Maria capisce e comprende tutto.
Perché ripetere e trovarsi sulla bocca delle frasi che talvolta escono automaticamente? L’ho capito più tardi e proprio attraverso il rosario. Si tratta della preghiera dei semplici e dei poveri. La sera sovente si arriva stanchi e non si trovano parole, non ci sono risorse neppure per discorsi e meditazioni; anche con Dio e Maria si avverte il bisogno di fermarsi senza nulla dire, solo per stare. Fermasi in silenzio però è anche pericoloso perché i nostri pensieri, se non vengono guidati, corrono a quel che si è fatto, a quel che si dovrà fare domani, alle fantasie…
«Ave Maria, piena di grazia»: semplici e poche parole, ripetute, per quando non c’è la forza per riflettere e manca l’energia per costruire un discorso; parole buone che “ti tengono” cioè non permettono di correre altrove: “ti tengono” dentro l’abbraccio e la dolcezza di Gesù, della sua mamma. Ripetere queste parole fa proprio bene, anche se in automatico: esse portano senza troppa fatica a cose belle, ad esperienze sane, all’incontro con Dio.
Don Lorenzo