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cosaefedeIncontrando per la prima volta delle persone si può rinvenire in ciascuno di noi un atteggiamento come camaleontico. Con alcune di esse si entra subito in sintonia: si tratta di empatia, un sentimento naturale che si presenta come una sorta di attrazione che può scattare per vari motivi, nella maggior parte dei casi per similarità caratteriale.

Con altre, invece, si avverte quasi un senso di prudenza, e con altre ancora addirittura di repulsione. In tutti e tre i casi qui elencati si tratta di sentimenti naturali che possono essere ascritti nella categoria dei pregiudizi, in quanto sono giudizi immediati venuti prima (pre) di una conoscenza approfondita e vanno pertanto valutati come tali.

I pregiudizi sono inevitabili. Li avvertiamo perché siamo vivi, allo stesso modo in cui sentiamo il caldo e il freddo, e chiedono di essere ascoltati per poter prendere coscienza di come siamo di fronte a determinate persone o circostanze e, di conseguenza, per mettere in atto quelle strategie relazionali che ci permettono di vivere e incontrare più profondamente ciascun interlocutore.

Si comprende subito che i classici “mi piace” o “non mi piace”, pur essendo reali, non sono indicatori di una possibile relazione profonda e di fiducia. I pregiudizi, infatti, possono essere confermati oppure smentiti: quante volte nel caso di persone con le quali i primi contatti non facevano avvertire feeling, in seguito sono cresciute relazioni affettivamente forti.

La fiducia chiede il tempo della sperimentazione, ovvero della frequentazione. In un certo senso, oltre che conoscere e ascoltare me stesso di fonte all’altro, è necessario poco per volta passare all’ascolto e alla comprensione di chi sta “fuori” e “innanzi” a me. Quanto più ascolto e comprendo l’altro, tanto più egli entra in me, viene cioè a far parte della mia vita; parimenti si dovrebbe anche sperimentare il movimento contrario e complementare: io entro e mi sento accolto dall’altro.

Questa esperienza si chiama condivisione e comunione.

In poche parole si tratta di sperimentare l’altro e di sperimentarsi con l’altro. In effetti, per potersi fidare, il che è di più dell’epidermico “mi piace” o “non mi piace”, è necessario avere le prove, cioè si deve aver sperimentato che dell’altra persona posso avere fiducia: posso confidare i miei sentimenti, sempre più profondi, ricevere ascolto e magari consigli che mi rendo conto essere buoni, posso affidarle le mie cose e consegnarle la mia persona senza essere tradito. Questa sperimentazione, o meglio quest’esperienza, non si realizza mai in poco tempo; perché? Perché siamo vivi!

L’uomo ha bisogno di tempo. Tante relazioni “saltano”, vengono “bruciate”, perché si credeva una cosa e poi ce ne si trova dinnanzi un’altra. Spesso ciò può accadere perché non ci si è donati il tempo necessario per traghettare dal pregiudizio alla fiducia.

Lo stesso procedimento, la medesima esperienza, siamo chiamati a farla con Dio. La fede è un dono, certo, perché il primo che esce da se stesso per incontrare l’uomo e per superare il pregiudizio è proprio Dio; ma la fede è anche relazione, ovvero chiede che ciascuno di noi esca da se stesso per superare nell’incontro i pregiudizi che si hanno nei confronti di Dio.

Tutti noi abbiamo qualche idea di come egli sia: ce lo immaginiamo in un modo o in un altro, avvertiamo verso di lui sentimenti di empatia e di antipatia: tutto ciò è normale come in qualsiasi altra relazione. Il pregiudizio chiede di maturare verso la fiducia per poter incontrare personalmente chi è veramente Dio. La Scrittura, che riporta parte della Storia della salvezza, ovvero quella storia che alcuni uomini hanno intrecciato con Dio, indica un metodo chiaro e semplice: la fede nasce dall’ascolto e dalla frequentazione.

Ascolto: ascoltare la Scrittura vuol dire aprire il Vangelo non come un libro qualunque bensì come la vita di Dio che mi sta parlando. La Scrittura comunica lo stile di Dio, il suo particolare modo di pensare, il suo agire, i modi di relazionarsi con gli uomini in molte circostanze concrete della vita. Ignorare la Scrittura significa non conoscere Dio, invece aprire il Vangelo ogni giorno è immergersi in quello che egli fa e dice per poterlo incontrare ogni giorno.

Frequentazione: gli amici e le persone di cui ci si fida si frequentano e s’incontrano. Noi cristiani abbiamo un “luogo” privilegiato d’incontro con Dio: i sacramenti.

Dio ha voluto farsi estremamente vicino agli uomini e ha trovato delle forme sensibili per far sentire la sua presenza in particolari momenti, ha ricercato dei linguaggi per poterlo sperimentare. Come tutte le altre relazioni, anche quella con Dio ha bisogno di sperimentazione di frequentazione. Nei sacramenti, e particolarmente nell’eucaristia domenicale, si fa esperienza di Dio che si rende presente in forma sensibile. Nei sacramenti avviene un vero incontro, sensibilmente percepibile, caratterizzato da uno spessore storico. I cristiani, domenica dopo domenica, incontro dopo incontro, crescono nell’amicizia e nella fiducia con Dio quasi senza accorgersene, come accade in tante altre relazione nelle quali, però, sul lungo tempo e guardandosi indietro, ci si rende conto di quanto profondamente siano cresciute e quanto coinvolgano la vita.

Anche nella relazione con Dio servono curiosità, pazienza e la necessità di vivere esperienze insieme a lui.

 

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Don Lorenzo Voltolin
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