La vita insegna ad accontentarsi; spesso, però, ci si accontenta abbassando il livello dei valori importanti per poi trovare dei surrogati compensativi in cose frivole.
Andiamo subito alla questione: ci stiamo accontentando di Dio. Siamo come anestetizzati: a cosa dovrebbe servirmi Dio? Appunto, a cosa? Che desiderio ho di lui? Una persona non serve proprio a niente, nel senso che esiste ed è una presenza nella mia vita che l’arricchisce rendendola più bella e più significativa. Ma io non avverto il desidero di Dio e non capisco perché: perché dovrei pregarlo, perché dovrei donare la mia vita per lui, perché dovrei lodarlo nella messa, perché dovrei chiedere perdono nella confessione...; io non ne avverto il bisogno.
Ci siamo come accontentati di quello che abbiamo e forse senza accorgercene viviamo come se Dio non esistesse. Il grande comandamento invita: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le forze» (Dt 6,5; cfr Mt 22,37). Ma io amo il Signore con tutto me stesso? Il ricordo di lui accende la mia vita, scalda il mio cuore, orienta le mie decisioni? Mi fa problema, cioè mi dispiace, sentire che posso essere apatico nei confronti di Dio e non avvertirlo come Qualcuno d’indispensabile, come Qualcuno senza il quale non posso vivere.
Se l’affetto di Dio non scalda il cuore come un fuoco, viene difficile accostarsi a lui e comprendere fino in fondo il significato della preghiera, della liturgia e del servizio.
Cosa fare?
Proviamo a recuperare alcune esperienze originarie che abbiamo sperimentato nella vita come autentiche.
Quando la mamma e il papà c’insegnavano a mandare un bacio a Gesù, erano momenti sinceri e trasparenti; ricordo di averli vissuti così. Quando ho celebrato i sacramenti — la confessione, la confermazione, l’eucarestia — anch’essi esperienze autentiche perché le ho vissute con tutto me stesso, sentendomi trasparente e non costretto, sentivo che mi facevano bene; quando andavo ai campiscuola o a qualche incontro in parrocchia c’erano certo il gioco la gioia di ritrovarsi, ma anche il parroco che ci aiutava a pregare: ascoltando le sue parole, i canti, assistendo a qualche gesto e simbolo, mi sono perfino commosso.
Non posso archiviare tutto ciò dicendo a me stesso: «Ero giovane, ero bambino»; erano, invece, cose vere, le più autentiche e forti che abbia vissuto.
Vorrei provare a ritornare, per partire da lì.