“Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita” . Con queste parole Papa Francesco invitava a spalancare il cuore alla tenerezza del Padre, “che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati” (1Pt 1,3) e ha fatto fiorire la nostra vita.
Negli ultimi anni parlare di vita è divenuto un argomento tabù. In passato era imbarazzante parlare del sesso, di alcuni intrighi familiari, oppure dei brogli e dei giochi di potere. Oggi invece è molto facile parlarne (o forse blaterarne), ma questo non significa essere più informati e ricercare la verità sugli argomenti in questione.
Parlare di vita, invece, risulta sempre più difficile. Io stesso quando affronto questo argomento mi sento in difficoltà perché temo di ferire gli altri, di essere frainteso; la stessa politica ne fa un gioco che porta le persone a dividersi tra loro (che è più e peggio di schierarsi), spesso sulla base di argomentazioni accattivanti ma poco pertinenti o semplicistiche da un punto di vista metodologico.
Anche in questi giorni di bagarre mediatica e discussioni nelle quali non sempre noi cattolici brilliamo come segno di civiltà e di amore fraterno proprio a motivo dei toni che si utilizzano per appellarci vicendevolmente (dovremmo essere fratelli), anche in questi giorni, con difficoltà, parlo di questi argomenti.
Arriva, così, la Giornata per la vita e si possono scegliere due strade: ignorare il contesto e celebrare con lodi la grandezza della vita evitando di entrare nelle questioni discusse, oppure cercare di portare la questione a un livello superiore rispetto al chiasso che le gira attorno.
Scelgo questa seconda opzione, perciò faccio un passo a lato e un passo indietro.
Un passo a lato vuol dire uscire dalle prese di posizione ideologiche e violente, dalla acredine verbale e talvolta dalle sciocchezze che sento essere presentate come verità: sento il bisogno di contemplare e di ricercare cos’è vita per me e per l’umanità.
Ho ricordato i mie genitori quando li sentivo litigare e il senso di debolezza e di paura che avvertivo quando percepivo fragile la mia famiglia. Questo per me è vero e credo possa esserlo anche per gli altri bambini e per gli adulti. Un passo a lato non centra la questione, ma aiuta a sentire con il cuore di cosa stiamo parlando.
Un passo indietro vuol dire andare sotto. Chi c’è sotto? Colui che non può parlare e per il quale altri (noi) decidono. Ricordo, tanti anni or sono, un incontro con un missionario: la sua teoria, giustissima, era quella di portare internet in Africa prima del pane, perché così facendo si sarebbe dato voce a chi voce non ne ha.
È vero, il povero non ha voce neppure quando si decide di lui. Alcuni, sulla base di leggi e definizioni scientifiche, distinguono tra concepito (embrione) e nascituro (persona); si dovrebbe inoltre introdurre anche la categoria di feto, ma fermiamoci qui. In realtà da ogni concepito risulta un nascituro, una persona umana, come da ogni seme ben piantato nelle terra nascerà una pianta; come se dovessimo distinguere nella stessa persona il giovane, l’adulto e l’anziano, certo distinguiamo ma non è possibile separare. Questo concepito, nascente, è il vero povero: non ha voce in capitolo sul fatto della sua vita. Questo mi fa riflettere: se fossi io quel povero (lo sono stato) vorrei che le persone fossero con me molto delicate e attente. Esiste un diritto dei genitori ad avere un figlio? Sì, ma il figlio è anche sempre un dono perché esiste un diritto anzitutto mio, cioè di colui che sta nascendo: “io voglio essere quello che sono: una sorpresa e un dono per te!” Proprio come in tutte le altre relazioni, non c’è un diritto ad avere la tua amicizia, posso desiderarla ma sarà anzitutto un dono gratuito disposto dalla tua libertà.
Anche la vita, anche se fosse quella di “mio” figlio, va compresa come tutte altre relazioni (questo non è scontato) e normalizzata: essa va coltivata ma non forzata, va cercata eppure è aperta alla libertà, al mistero, alla novità al dono. Io voglio vivere così.