Tre giovani maliani che hanno attraversato per settimane mezza Africa, anche sahariana, partendo dai dintorni di Bamako, capitale del Mali, per arrivare a Tripoli di Libia, dove, per sfuggire ai controlli, sono stati “caricati” di notte, come tanta parte di umanità, su barconi che, per loro, hanno significato attraversamento di speranza. Dopo quattro giorni di navigazione confusa, senza meta precisa, abitati da angosce causate da scafisti che vagavano per il Mediterraneo non sapendo bene verso quale direzione puntare, i giovani sono stati “scaricati”, come merce scaduta, a ridosso delle coste della Sicilia (dove, non lo ricordano).
I tre giovani sono Musà (24 anni), Giangi (25 anni), Mumadì (20 anni). Ora, nei fine settimana, assieme ad altri quindici-venti coetanei, vivono a Bosco di Rubano, nella Casa Abramo, mentre, durante la settimana, lavorano a Monselice come magazzinieri nel turno di notte (dalle 21.00 della sera alle 4.00-5.00 del mattino) e frequentano la scuola per imparare bene l’italiano.
Domenica scorsa Musà e Giangi sono stati a pranzo a casa della mamma, dove, generalmente ci ritroviamo tutte le domeniche ed i giorni di festa per condividere un boccone insieme. Mumadì è stato ospite, invece, a casa di Simone e Tiziana.
Un po’ di timore inziale, certo, prima di scaldare l’ambiente, timore figlio della premura di mettere a loro agio i due ospiti. Ma poi, incalzati anche da domande fatte giusto per rompere il ghiaccio, i due giovani ci hanno raccontato un po’ della loro storia recente (riassunta brevemente nelle righe precedenti), storia di difficoltà e di paure, ma anche storia di speranza e di fede mai perdute, storia di pazienza, di coraggio, di diversità, storia regalata al nostro pezzo di mondo, da cui noi dovremmo imparare per scalare il monte della vita, arrivando alla cima solo con l’essenziale, dopo aver donato tutto quel che potevamo.
Casa Abramo. Forse proprio per fare memoria a noi che Abramo è stato il “papà” delle tre grandi religioni monoteiste (i giovani che abbiamo ospitato sono musulmani), è stato colui che ha accolto tre ospiti nella sua tenda, lavando loro i piedi, offrendo loro cibo e ristoro, fidandosi di loro.
Certamente l’accoglienza della diversità è una condizione che ci chiede di aprire gli occhi ed il cuore a modi di essere che non sono i nostri, modi fioriti sotto altri soli, cresciuti in altre terre, bagnati da acque diverse, ma che sono altrettante rifrazioni dell’unico Essere in cui affondano le radici di ogni uomo. È tempo, allora, che doniamo fiducia al forestiero perché su questa terra forestieri lo siamo tutti, tutti siamo banditi ed angeli, tutti abitiamo una tenda che un giorno lasceremo. Meglio farlo avendo regalato almeno un po’ di solidarietà e di prossimità.
Livio