David Robert Jones, vero nome del famoso artista (cantante, polistrumentista, produttore, pittore) inglese noto al pubblico come David Bowie, ci ha lasciati il 10 gennaio scorso. Quel che m’invita a scrivere di lui è il fatto che tante delle sue canzoni e immagini artistiche comunicano esplicitamente non solo la sua umanità ma anche la sua fede.
Quello di David Bowie è un percorso non esente da contraddizioni, tuttavia spinge a portare la riflessione verso un «Oltre». Prendiamo ad esempio il testo della canzone del 1976 dal titolo A better future (Un futuro migliore): «Dona ai miei bambini un sorriso solare / dona loro la luna e un cielo sereni. / Esigo un futuro migliore / o potrei non amarti. / Quando parliamo, parliamo a Te / quando camminiamo, camminiamo verso Te; / dalla fabbrica al campo / quante lacrime devono cadere». Si tratta di una preghiera al Signore elevata in un periodo di buio e di sofferenza, dove la ricerca di Dio passa attraverso il sorriso dei bambini, simbolo della speranza in un’esistenza migliore. L’incontro con Dio è fatto di parole e di passi, di preghiere e di lacrime.
Nel brano Bus stop (Fermata dell’autobus) del 1989 emerge una tormentata domanda che non trova risposte appaganti: «Ora Gesù è apparso in una visione / e ha offerto la redenzione dal peccato. / Non sto dicendo che non ti credo / ma sei sicura che fosse veramente Lui?». In questi versi David Bowie mostra tutta l’incertezza che può accompagnare la fede, un camminare esitante tra valli che s’illuminano di amore e oscuri cunicoli di angoscia. Bowie, come ogni credente, li percorre entrambi.
Nel caso non appaia il video nell'articolo lo potete vedere QUI.
Pochi giorni prima di morire il musicista ha pubblicato il suo ultimo lavoro, Blackstar (Stella nera), che contiene un’ampia varietà di idee e di citazioni, di simboli e di generi musicali nello stile proprio del cantante. Dai telegiornali abbiamo visto le immagini del video della canzone Lazarus (il video è reperibile anche in www.voltabrusegana.it), metafora della figura evangelica di Lazzaro che rivive grazie a Gesù. Il video mostra David Bowie, già ammalato e in procinto di morire, con il volto bendato e due bottoni sugli occhi (richiamo all’usanza antica di porre due monete sugli occhi del defunto), sdraiato sul letto di una vecchia e tetra camera di ospedale. La malattia che lo sta portando alla morte viene rappresentata in tutta la sua verità, innanzitutto perché è lui stesso l’ammalato cosciente dell’imminente morte. Dopo le prime strofe s’incontrano queste affermazioni: «Guarda su, sono in paradiso […]. Guarda qui, sono in pericolo». Il paradiso da una parte e il pericolo dall’altra: di nuovo uno stare in bilico tra due abissi. Il testo inizia con una dichiarazione senza compromessi: «Ho cicatrici che non possono essere viste / ho un dramma che non può essere rubato / mi conoscono tutti, ora». Il viaggio della vita porta con sé i segni dell’umanità, quelle ferite che non si vogliono mostrare, i drammi che non sono condivisi e il cui peso ricade solo sulle spalle di chi li ha vissuti. Senza voler per forza “cristianizzare” Bowie sembra proprio che la parola chiave della sua esistenza sia «ricerca», una situazione esistenziale che lo ha attraversato e lo ha condotto a non fermarsi “al già conosciuto”.