Un intermezzo è “un tempo che sta tra due tempi”, come una pausa tra due note, ma anche un impiccione, un personaggio scomodo che s’intromette tra due dialoganti.
Spesso si ha dell’intermezzo un’idea poco pregevole: un qualcosa di fastidioso da subire, un tempo poco produttivo, qualcosa di passeggero che prima se ne va meglio è, tutt’al più da vivere come riposo tra due impegni più importanti, ma che se si potesse farne a meno sarebbe volentieri tolto dal calendario della vita. Allora, un po’ per gioco, immaginiamo di togliere alcuni intermezzi.
La pausa caffè al lavoro è un intermezzo e per sua natura è improduttiva, così come la ricreazione scolastica che si pone tra due tempi di studio. Il messaggiare al telefono (a meno di non esagerare) è una forma d’intermezzo che costruisce un ponte virtuale oltre il tempo e lo spazio. La pausa pranzo e il pisolino pomeridiano sono anch’essi intermezzi, così come la domenica spezza due tempi di lavoro. Proviamo a pensare a un lavoro senza pausa caffè o senza domenica, oppure ad una scuola mancante di ricreazione: di certo ce ne sarebbe per una bella presa di posizione sindacale.
Pensiamo a una famiglia che non vive pausa pranzo o pausa cena: quasi quasi si fatica a definirla tale, in quanto quali altri tempi comuni d’incontro avrebbe?
Andiamo un po’oltre. Anche il primo tempo della nostra vita, quello della gestazione, è un intermezzo: dal concepimento alla nascita per nove mesi esistiamo in una condizione di vita passeggera che tuttavia assume una tale importanza da essere obbligatoria per ogni essere vivente; tutt’altro che una pausetta transitoria. E come sarebbe la nostra esistenza se si togliesse la giovinezza, intrepido e vitale passaggio dall’infanzia all’età adulta?
Procedendo su questa via incontriamo la morte, passaggio così oscuro e tremendo che tuttavia abbiamo già vissuto in maniera simile proprio uscendo dal grembo materno.
Neppure quest’ultimo volevamo abbandonare, eppure “ci hanno cacciati fuori” senza dirci dove saremmo andati a finire e cosa fossero il mondo e la vita. Anche la morte dunque è un intermezzo tra la vita di cui abbiamo esperienza e la vita eterna che conosciamo solo per sentito dire. Stare in mezzo non è facile perché chiede di saper attendere una cosa che non vediamo e di spogliarsi di qualcosa che ben conosciamo.
Tutto ciò chiede quindi di impoverirci anche delle nostre conoscenze ed esperienze.
Ma che ne sarebbe dell’alunno di classe quinta della scuola primaria se continuasse a rimanere lì senza accedere alla classe prima della scuola secondaria? Che ne sarebbe dello stesso alunno se non si spogliasse della sua classe, se non abbandonasse maestri e metodi conosciuti, per entrare in un nuovo mondo tutto da scoprire?
L’alunno di quinta deve in qualche modo tornare povero per arricchirsi: solo questa nuova condizione di leggerezza gli permetterà ancora di crescere.
La festa dell’ascensione è un intermezzo tra la presenza del corpo di Gesù risorto e l’arrivo dello Spirito Santo: è un intermezzo di “assenza”. Anche in questo caso forse ci capiamo poco, ma per questa domenica ci basta non considerarlo un semplice passaggio, un qualcosa di superficiale, un tempo che “se potessi ne farei a meno”.