Chiedere è un gesto complesso e carico di tante emozioni; è un’esperienza di fraternità e, contrariamente a quanto può sembrare, un gesto di coraggio come fare il primo passo in una relazione.
Anzitutto chi chiede si sente nel bisogno e ha quella consapevolezza, che gli viene dall’esperienza della vita, di non poter fare tutto da solo: si sente legato agli altri e vive un’esperienza di solidarietà. Chi non chiede, o è da solo o pensa illusoriamente di potercela fare da solo: in ogni caso vive un’esperienza di solitudine.
D’altra parte il destinatario della richiesta si sente interpellato, forse anche investito dalla domanda. Sentirsi chiedere qualcosa da qualcuno è molto bello: vuol dire che l’altra persona ha stima di me. Spesso a taluni non chiediamo niente perché crediamo che non possano darci granché, mentre chiediamo molto a coloro per cui sentiamo grande considerazione. “Sentire” la richiesta poi è questione di sensibilità: le persone più ricettive colgono, prendono in considerazione e in vari modi rispondono; quelle insensibili accaparrano spesso scuse che servono solo a spegnere la sensibilità alla risposta. Rispondere in modo affermativo è un’assunzione di responsabilità: io mi sento partecipe con te e di te, è un gesto di solidarietà che costruisce e rinsalda i rapporti, fa sentire alle persone un legame di fratellanza. A volte si può anche dire solo: «Mi spiace, non posso aiutarti questa volta, ma ti sono vicino»; rimane comunque una risposta. Le circostanze della vita sono tante; spesso noi pensiamo i rapporti come qualcosa di romantico e ideale, invece le relazioni sono reali. Al di là di tante patine, di abbracci e baci, di discorsi altisonanti e sorrisi, forse più di tutto vale la risposta alla richiesta che un fratello ti fa.
In questi mesi il vescovo mi ha chiesto di guidare anche la parrocchia di Mandria e ho percepito che qualcuno non ha colto il motivo del mio aver accettato l’incarico. Il perché è tutto qui: mettermi come fratello accanto alle necessità del vescovo e della Chiesa di Padova. Certo non sono qui per tessere l’elogio di me stesso, per questo corro via su questo punto, ma vengo anch’io a chiedervi semplicemente aiuto per poter costruire insieme una nuova esperienza di comunità.
Nel chiedervi qualcosa includo dunque tutto quello che ho scritto sopra: chiedo pazienza e comprensione se le cose non saranno fluide e non potranno più essere come prima, vi chiedo un cuore grande capace di accogliere i fratelli della comunità vicina (e questa sarà una forte occasione umana e cristiana per tutti quelli che vorranno mettersi nel gioco delle relazioni), vi chiedo soprattutto vicinanza, quella prossimità umana di amici e di fratelli che è capace di comprendere le delusioni e le tensioni, come anche le gioie e le soddisfazioni che questa avventura farà nascere in me e in tutti quelli che la intraprenderanno can find here.
Qualcuno probabilmente avverte soprattutto la difficoltà del cambiamento e sente la tentazione di cedere il passo; ciò accade quando si vive la comunità solo occasionalmente. In effetti ciò che ci sostiene è la barca della Chiesa, che nel nostro caso è la piccola barca della parrocchia. Se vi saliamo con convinzione e spirito fraterno essa ci aiuterà ad attraversare anche questo viaggio.