Il mese di settembre tradizionalmente viene dedicato al seminario, e in questo tempo si sollecitano la riflessione e la preghiera per i sacerdoti e per i giovani che avvertono la vocazione sacerdotale.
Avvertire questa chiamata è, né più né meno, come innamorarsi: si sente un desiderio forte di donare la vita, d’incontrarsi con Dio, di dirgli grazie non solo con le parole ma con il dono di se stessi.
Perché si dice grazie in questo modo? Perché una persona può sentire questa forza? Perché Gesù è morto e risorto per me donandomi la salvezza e la liberazione dal male, la gioia della vita vera. Per questo si sceglie di seguirlo nel suo stile di vita apostolico, ovvero di portare agli uomini quello che Gesù ha donato.
Il sacerdote, quindi, è chiamato per la forza dello Spirito Santo a continuare la presenza e la missione di Gesù, unico pastore, ad essere dispensatore per tutta la comunità del corpo e del sangue del Signore e annunciatore della sua Parola di salvezza. Può esserci una comunità senza la presenza di un sacerdote? Non credo, così come non ha senso un sacerdote senza la comunità.
Quale può essere la molla che fa scattare in un giovane il desiderio di diventare sacerdote? La sete di Dio. È proprio il desiderio di Dio che fa muovere i primi passi vocazionali, l’amore per lui; è sempre il desiderio di Dio che accompagna il cammino e gli anni della formazione. Nel vangelo Gesù promette “fiumi d’acqua viva” (Gv 7,37) per quanti crederanno in lui. I fiumi d’acqua viva sono l’esperienza dello Spirito Santo il quale fa sì che le parole e le promesse che escono dalla bocca di un giovane nel giorno della sua ordinazione sgorghino dal cuore innamorato e appassionato, da quella profondità intima, da quel rapporto di comunione che è iniziato e continuerà con Dio. È l’esperienza dello Spirito Santo che si vive nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dei sacramenti, nell’adorazione, che spinge a donarsi e a spendere l’intera esistenza per il Signore e per l’umanità. La profonda esperienza di Dio iniziata e coltivata negli anni della formazione giovanile, con l’ordinazione presbiterale continuerà a maturare attraverso le vicende ordinarie della vita quotidiana perché lo Spirito Santo opererà ogni giorno nel segreto del cuore del sacerdote, colmandolo della sua grazia.
Lo Spirito Santo, soffio interiore, spinge il sacerdote verso Gesù perché lo possa rendere presente e manifesto: è lo Spirito che ricorda le parole di Gesù, che le trasforma in vita per lui e per gli altri, è lo Spirito che spinge con discrezione e decisione ad andare avanti, ad andare oltre. Lo Spirito è colui che permette di vedere in tutta la creazione i segni della presenza di Dio e di cogliere i cammini di quanti sono in ricerca di un senso della vita. La presenza dello Spirito rende capaci di affrontare serenamente il mondo nelle sue manifestazioni costruttive di lode e di servizio, come anche nelle espressioni negative dell’egoismo e della chiusura, dell’indifferenza e della prepotenza. Lo Spirito permette di ri-presentare nel sacerdote i gesti di Gesù, quei gesti di perdono e di misericordia che nascono dai sacramenti.
Lo spirito, nonostante i limiti umani del sacerdote, opera in lui l’amorevole sollecitudine verso tutti. Tutto questo è il miracolo dello Spirito Santo effuso nel giorno dell’ordinazione non solo per il sacerdote, ma per il bene di tutti.