Ricchezza e povertà sono sempre state due categorie che hanno segnato la storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Il ricco e il povero oltre a indicare classi sociali sono anche percezioni psicologiche: «mi sento ricco», «mi sento povero», con tutte le oscillazioni e gli spostamenti del caso: «sto diventando più ricco», «sono diventato più povero». Non si tratta, poi, della sola ricchezza materiale, ovvero delle cose che possiedo: esistono anche una ricchezza umana, data dalle qualità, e il suo contrario, ovvero dal percepirsi poveri di doni e di caratteristiche, che porta a non piacersi e a non apprezzarsi a sufficienza. Possiamo allargare il nostro discorso anche alla ricchezza della fede e delle esperienze umane che ciascuno di noi può fare.
È indubbio, poi, che se si pensa ai paesi in guerra o a quelli con un grado di sviluppo inferiore, povertà e ricchezza sono ancora categorie molto attuali, anche se come si è detto, non è la sola ricchezza materiale a rendere felice l’uomo. In effetti felicità e tristezza sono altre due categorie che vanno di pari passo a ricchezza e povertà. C’è poi una ricchezza ricevuta come dono, tutto ciò che mi accade nella vita senza che m’impegni, e la ricchezza conquistata, invece, con la mia buona volontà. Il vangelo di questa domenica (cf. Luca 16,19-31) presenta il ricco Epulone che ostenta i suoi beni e, proprio perché ricco, non si accorge - è divenuto indifferente - delle necessità del povero Lazzaro, al quale sarebbero bastate le briciole della sua mensa. Prospettive differenti della vita.
Anche nella vita delle nostre comunità, nel passaggio che stiamo vivendo, avvertiamo questa tensione tra ricchezza e povertà, tra felicità e tristezza: più di qualcuno ha timore di diventare più povero perdendo qualcosa. È indubbio che la carenza di sacerdoti non può dirsi una ricchezza per la Chiesa e il fatto che due comunità debbano condividere il presbitero non è certo un guadagno. È altresì vero che nei cambiamenti non vengono a mancare il sostegno e la voce di Dio che richiama e invita a scoprire che nelle “cose” nuove, anche nelle esperienze di riduzione, Dio continua a donare al suo popolo con la medesima larghezza dei tempi in cui c’era l’abbondanza. Ricordiamo come gli ebrei nel deserto si lamentavano della durezza del cammino al punto da rimpiangere la schiavitù in Egitto (cf. Esodo 16-18). Confrontarsi con parrocchie vicine richiede a tutti un atteggiamento di libertà che vuol dire anche lasciarsi alle spalle la tentazione di piangersi addosso per un passato che non c’è più.
Ciascun cristiano delle comunità di Mandria, di Voltabrusegana e dell’OIC è chiamato in questi tempi a acquistarsi un passetto in più di libertà, ponendo a se stesso e alla comunità questa domanda: «Il Signore dove ci sta conducendo? Cosa sta dicendo, cosa sta preparando per noi?» I cambiamenti come questo, non ce lo nascondiamo, sono anche tempi di verifica che invitano a chiedersi come abbiamo utilizzato i doni che abbiamo ricevuto in passato e se siamo stati grati per la loro ricchezza; sono tempi di conversione perché chiedono a tutti di rimettersi in gioco, magari con la disponibilità di qualche servizio in più.