Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Come durante la vita, anche nei suoi ultimi giorni Gesù ci ha trasmesso ciò in cui credeva non solo con le parole, ma con l’esempio. Anche nei momenti di più grande paura e sofferenza, quando si è rivolto a Dio non abbiamo sentito da parte sua parole di vendetta ma di perdono per chi gli stava facendo del male.
La sua esperienza religiosa era così autentica e profonda da non aver bisogno di essere ostentata o enunciata, perché ogni suo gesto, ogni suo respiro, erano espressione del regno di Dio. “Quando vedi e tocchi, le parole non servono”.