L'episodio più caratteristico e anche più pittoresco della vita di San Martino ci è arrivato attraverso i secoli arricchito probabilmente di qualche tratto leggendario. Si sa però che quando si vuole trasmettere all'ascoltatore lo stesso stupore che noi abbiamo provato nell'incontro con l’“eccezionale” non lesiniamo le amplificazioni e le esagerazioni; questo non è motivato dal desiderio di ingannare, ma semplicemente di non rischiare che per l'altra persona tutto appaia come un evento qualunque quando in noi ha lasciato indelebili tracce di meraviglia.
Si narra che Martino, giovane soldato figlio di un ufficiale dell'esercito romano, mentre era in servizio in Gallia abbia incontrato un mendicante vestito di pochi stracci che non riusciva a difendersi dal freddo. A quella vista Martino prese il proprio mantello, lo divise in due parti e gliene porse una. Qui la leggenda si sdoppia: da alcune fonti ci giunge il racconto di un tepore miracoloso che si sprigionò a sostituire il freddo di quel giorno e a scaldare il buon Martino, da altre quello della visione, che il soldato ebbe durante la notte, di Gesù rivestito della parte di mantello donata al povero.
Non sappiamo come siano andate realmente le cose e quanto la vicenda reale sia stata impreziosita, ma possiamo credere che le eventuali aggiunte abbiano avuto lo scopo di mettere in luce un aspetto importante della sensibilità del Santo: l'attenzione spontanea verso il prossimo nella salvaguardia di sé.
La carità molto spesso ci spaventa: mentre la fede e la speranza vengono percepite immediatamente come un rafforzamento di ciò che siamo, essa sembra invece chiederci di rinunciare, di toglierci, di sottrarre. L'episodio del mantello ci mostra invece come persino un santo divenuto l'emblema della carità abbia saputo valutare quanto di sé offrire: andando troppo oltre avrebbe rischiato addirittura di perdere se stesso e dunque la possibilità di fare del bene.
Nel lunghissimo inno sacro “La Pentecoste”, Alessandro Manzoni scrive: «Cui fu donato in copia, / doni con volto amico, / con quel tacer pudìco, / che accetto il don ti fa». La carità non ci chiede di svuotarci, ma di aiutare l'altro a riempirsi di ciò che in noi abbonda. Anche nella vita di comunità non ci viene chiesto altro, e se guardiamo bene scopriremo che ciascuno di noi avrà qualcosa da donare e anche qualcosa da ricevere.