A Natale qualcosa si deve dire! In effetti, ad essere sinceri e senza intenzione polemica, la consueta stregua degli auguri sorridenti, in certe circostanze, appare forzata: in alcuni contesti le felicitazioni stonano, addirittura possono assumere toni ridicoli e colpirci come un gesto violento. Per augurare cose belle si avverte la necessità di un contesto che sia tale. Eppure il cristiano vive questa “stonatura” con un sentimento che lo spinge oltre la brutalità dei fatti, egli pone fiducia in un salvatore, un bambino, che viene proprio in tutte le situazioni drammatiche e interrotte.
Due parole sento vere, cioè senza patina, per questo Natale: incertezza e complessità.
Incertezza. Il pensiero corre immediatamente ai tanti giovani che attendono dalla società, dalla politica, dalla comunità, un minimo di sicurezza per poter progettare e costruire la propria esistenza. Sicurezza è un diritto umano, esserne privi significa trovarsi in situazioni di povertà esistenziale: io ho diritto, senza per ciò essere pretestuoso, a poter pensare concretamente come vivere domani, tra un anno, tra dieci anni… Sicurezza è una delle condizioni per poter realizzare il bene per me e per gli altri. Oggi hanno più sicurezza le precedenti generazioni rispetto alle nuove, e anche questa è una distorsione, nel senso che chi è più avanti negli anni ha già realizzato, in parte, la propria vita. In questo frangente la solidarietà generazionale diventa un comandamento, cioè un impegno a fare il bene, oltre che un ammortizzatore sociale. Nel clima di incertezza abbiamo segnali di speranza e il Vangelo di Gesù, Buona Notizia, segna la strada a noi cristiani. Maria e Giuseppe hanno vissuto nell’incertezza. Le loro esistenze non potevano avere progettualità economica e sociale, sia a motivo del regime romano, sia per una ragione esistenziale e familiare: Maria era promessa sposa di un uomo e si trova in gravidanza. La loro incertezza li segna fino alla povertà estrema e al rifiuto di un posto dove riposare per far nascere il bambino. Certamente sentimenti di sconforto e sfiducia sono stati avvertiti da Maria e Giuseppe: come li avranno vissuti, e che tipo di forza e di energia deve aver immesso in loro la fiducia in Dio?
Complessità. Ancora il primo pensiero corre ai giovani, ma subito si allarga a tutti noi che viviamo in questo contesto occidentale nel XXI secolo. È cessato da tempo il “mondo monolitico”, si sono aperti orizzonti di senso plurimi; oggi entrando nella complessità esistono i poli differenziati, ovvero è possibile dire o assistere a tutto e al suo contrario. La complessità si acuisce nei drammi come l’uccisione di centinai di bambini in Pakistan e in non rari eventi del genere. Più normalmente essa è avvertibile in un sentimento di smarrimento quotidiano che fa interrogare su cosa sia giusto veramente. Dall’Illuminismo, avanzando nelle epoche, si sono come spente delle luci, dei fari di riferimento che orientavano l’umanità, la società, perfino la Chiesa, ma non siamo ancora riusciti ad identificare e accendere altri lumi, così ci troviamo come smarriti, senza orientamenti: alcuni vanno in una direzione, altri seguono vie diverse. Sembra che ognuno debba decidere per conto suo, e così la libertà, avventura avvincente, diventa fardello pesante perché il peso degli eventuali e inevitabili sbagli e la responsabilità delle azioni ricadono sulla singola persona. Teniamo accesa in noi la luce di Cristo, non perdiamola. Cristo brilla attraverso i secoli in tutte la culture e civiltà, e in ogni epoca: è l’unica luce che finora non si è mai spenta. Teniamo accesa la luce di Cristo e attraversiamo quest'epoca complessa con questa lanterna; vagliamo le nostre scelte e quel che ci viene proposto alla luce della sua presenza. La stella che guidò i magi ricercatori sia anche per noi il faro che accompagna ciascuno. Così non ci perderemo.