Continuiamo l'analisi sull'esortazione apostolica postsinodale “Amoris lætitia”, sull’amore nella famiglia di papa Francesco di cui trovate qui la prima parte. di cui potete trovare sul sito vatican.va o a fondo di quest'articolo la versione integrale
Circa le situazioni ferite e quelle dette «irregolari», l’Esortazione recepisce dalla Relazione finale del Sinodo Ordinario il criterio complessivo espresso da san Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio con una felice formula: «ben discernere le situazioni» (FC 84). Infatti c’è differenza «tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido» (FC 85). Francesco assume pienamente questa prospettiva, che era stata ribadita e confermata nella Relazione finale: «Il discernimento dei Pastori deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”, con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono “semplici ricette”» (AL 298).
Ma ci sono anche «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (FC 84; AL 298). Il Sinodo aveva affermato che è compito dei sacerdoti «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo» (AL 300). Questo itinerario impone un discernimento pastorale che fa riferimento all’autorità del Pastore, giudice e medico, il quale è anzitutto «ministro della divina misericordia». L’Esortazione riprende dal documento sinodale la strada del discernimento dei singoli casi.
Dichiara inoltre che non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (AL 302; cfr CCC 1735) a causa di diversi condizionamenti. «Per questa ragione — scrive Papa Francesco — un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta. Nel contesto di queste convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali: “In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. [...] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”» (AL 302).
La conclusione è che il Pontefice, ascoltando i Padri sinodali, prende consapevolezza che non si può parlare più di una categoria astratta di persone e rinchiudere la prassi dell’integrazione dentro una regola del tutto generale e valida in ogni caso. Francesco afferma che è necessario ricordare che «la Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.
Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore». E ugualmente si segnala «che l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”» (AL 305, n. 351).
Papa Francesco va avanti su questa linea quando parla di un «discernimento dinamico», che «deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (AL 303). Non si può trasformare una situazione irregolare in una regolare, ma esistono anche cammini di guarigione, di approfondimento, cammini in cui la legge è vissuta passo dopo passo. Si conferma così una «legge della gradualità», cioè una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: «Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile». Questa gradualità non si può affatto confondere con il relativismo.
Papa Francesco afferma di comprendere che ci sono credenti, e anche pastori, che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione» (AL 308).
Tuttavia afferma con chiarezza di credere sinceramente — e qui, ovviamente, non sta esprimendo solo una semplice opinione personale — «che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”».
Infine, il linguaggio non è semplice esteriorità, ma comunica il cuore pulsante di una Chiesa evangelizzatrice e pastorale e non capace solo di parlare a se stessa e di se stessa. Il Pontefice, nel suo discorso alla fine del Sinodo, ha dunque parlato di «trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile».
Liberamente tratto da: A. SPADARO, «Amoris lætitia. Struttura e
significato dell’Esortazione apostolica post-sinodale di papa
Francesco», in La Civiltà Cattolica, 3980, volume II 2016.