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La scorsa settimana abbiamo finalmente celebrato il 650° anniversario della consacrazione della nostra chiesa parrocchiale, evento che, oltre ad una particolare emozione, ha creato tra la comunità anche una certa dose di confusione: «Ma non avevamo festeggiato i 900 anni una ventina d’anni fa?».
Nel 1988 ricorreva il novecentesimo anniversario della prima traccia scritta dell’esistenza di Voltabrusegana: in un documento risalente addirittura al 1088 il vescovo Milone donava i territori di “Volta” alle monache del monastero benedettino di San Pietro. Colpisce scoprire che già allora, tra territori paludosi, aree boschive e campi coltivati, risultava presente una piccola chiesa dedicata a San Martino di Tours.
Non ne siamo certi, ma con buona probabilità quella attuale sorge nello stesso luogo in cui era sita quella conosciuta nell’XI secolo. Fu solo il 1° maggio 1365 che il vescovo Pileo da Prata consacrò questo luogo di culto e il 2015 ci ha visti ricordare proprio questo evento.
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Certamente non si sente una voce scendere dal cielo, piuttosto un affetto forte e crescente dal cuore, un sentimento di risposta a qualcosa, Qualcuno, che si è avvertito.
Per anni ho vissuto lontano dalla Chiesa, guardando con sufficienza la vita della mia comunità, quella comunità che mi aveva cresciuto donandomi la fede e facendomi incontrare Dio. Pensavo di essere grande, forse preso da tante distrazioni e dal lavoro, dalla bella vita e dai soldi, dal desiderio di apparire più di quel che ero. Dio non mi interessava e non aveva nulla da dirmi. Certo lo pregavo, ed ero pure rimasto un bravo ragazzo: dedito al lavoro e impegnato, serio e preciso, deciso e ambizioso.
Avvertivo come un sentimento di nostalgia di “cose” belle e perdute, della semplicità e dell’autenticità; non lo capivo, ma mi mancavano la mia parrocchia e quella confidenza con Dio.
Sono così trascorsi tanti anni, forse i più preziosi della giovinezza, e ormai ave-vo preso delle scelte consolidate e definite: un lavoro, degli impegni affettivi, un futuro da progettare. Mancava però qualcosa, mancava l’anima, anche se non ne ero cosciente.
Ho iniziato ad osservare i miei coetanei che erano rimasti all’interno della vita di parrocchia: avevano molto meno di me, molte meno di quelle cose che io consideravo importanti per la vita, eppure sembravano più felici di quanto lo fossi io. Come Mosè che rimane incantato dal roveto che brucia ma non si consuma (cf. Esodo 3), anch’io ho deciso di avvicinarmi per capire.
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