Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
In quest’epoca in cui tutto è veloce, in cui i tempi morti sembrano intollerabili, l’attesa è diventata per noi un momento snervante: vorremmo tutto subito, senza perdite di tempo e possibilmente senza fatiche aggiuntive. Eppure anche attendere qualcuno è amore: ci allena a stare in ascolto, a lasciare che l’altro si possa esprimere e presentare per com’è davvero, non per come lo vorremmo noi.
Signore, fa’ che la nostra attesa possa riempirci il cuore.
È tutto il pomeriggio che Giulia mi chiama: «Mamma! Giada salta sui letti e non riesco a concentrarmi sui compiti! Mamma! Alice ha scarabocchiato il quaderno di attività libere di scuola! Mamma! Anna prende i colori dal mio astuccio!»
Scende la sera e mia figlia non riesce a dormire: è ancora arrabbiata con la sorelle e si gira e rigira nel letto brontolando. Mi avvicino in punta di piedi e la bacio dolcemente sulla fronte. In realtà mi viene un po' da ridere a pensare a Giada che saltella, a Anna che finge di fare i compiti e a Alice che fa i dispetti per attirare l'attenzione della sorella, ma cerco di restare seria... stoica.
«Le sorelle mi danno fastidio!» mi risponde mordendosi le labbra. Sono di nuovo messa alla prova come mamma: Giulia chiede giustizia ma vuole essere anche consolata e compresa.
Mi siedo sul suo lettino e nel buio della stanza le sussurro: «So che a volte sorgono pensieri brutti che vogliono convincerti che la tua non è la famiglia giusta per te, che la tua vita non è come la desideri, che vorresti che le cose fossero diverse a casa, a scuola, a ginnastica. Caccia via questi pensieri perché non vengono da Dio! Non farti fregare... Fidati di Dio! Egli ci ha messo vicino le persone giuste per la nostra vita e per il nostro bene, anche quelle che non ci piacciono, per insegnarci ad amare anche loro!
Ti ha donato delle sorelle per insegnarti la pazienza e la condivisione, e dei genitori che non sono perfetti, ma ti amano profondamente. Dio ti ha pensato e ti ama così come sei! Egli fa le cose bene, Giulietta mia! Il suo è un progetto d'amore pensato proprio e solo per il tuo bene. Se non ti ribelli alla vita che Dio ha pensato per te, vedrai meraviglie!»
Giulia mi abbraccia e chiude gli occhi. Esco dalla stanza e sento Giada che parla con la sorella: «Giulia, mi insegni una nuova cornicetta?» «Sì, Giada, domani ti faccio vedere quella del cigno! Adesso dormi» «Buonanotte Giulia» «Buonanotte Giada».
Una mamma
In questi anni in cui l’esperienza del perdono nella vita sociale è diventata più rara e l’individualismo più competitivo, la Chiesa sta comprendendo che la prima verità da dire e da vivere è l’amore che Gesù ha per gli uomini. Il linguaggio dei gesti della comunità cristiana dovrebbe t rasmet tere innanz i tut to misericordia: solo così facendo si potrà continuare a proporre in modo credibile il vangelo.
Nella tradizione cristiana i rimedi ai contrasti quotidiani sono due: la fatica di educare e far capire e la necessità di essere guarito dalla Grazia di Dio. La pratica educativa quotidiana, il consiglio che viene dalle persone più esperte aiuta alla correzione dei propri difetti, tuttavia è sempre necessaria la misericordia dell’amore di Dio. Senza misericordia e senza la gioia del perdono l’educazione potrebbe limitarsi a produrre, in chi sbaglia, sensi di colpa: «Dovrei essere…, ma non sono». Solo la formazione religiosa può aprire a quel mondo che è l’amore di Dio aiutando a farne tutta l’esperienza possibile proprio nel perdono, scoprendo che Dio ha sempre amato e perdonato tutti pur aiutandoli a camminare sulla via della verità. La correzione fraterna e gli aiuti che vengono dalle specializzazioni umane, pur riconoscendone la validità e talvolta la necessità, da soli non bastano. Essi hanno bisogno di guardare a un amore incondizionato come quello che si rivela nel Crocifisso: «Per me, Gesù, tu hai fatto questo!».
L’inizio e il sostegno per noi uomini non stanno nella ragione, cioè nel vedere le cose giuste, e neppure nella sola comprensione dei nostri sentimenti: tutto ciò può aiutare ma può anche produrre delusione, ferite all’autostima, pensare di non potercela fare davvero ad essere come dovrei e vorrei essere. L’inizio, appunto, sta nel dono, nel fatto cioè che qualcuno, prima di essere come vorrei, mi ha già amato. La Grazia che viene dal dono di Dio concretizzato nella persona di Gesù mostra che l‘amore ferito può essere risanato, l’amore dato male può essere riscattato, l’amore mai avuto può essere donato. La richiesta di perdono è l’altra faccia dell’amore: più amiamo le persone più ci rincresce se le facciamo soffrire. Perdonandosi, le persone si accettano nella loro verità e si aiutano nella fragilità. Il primo a istituire questo percorso di richiesta di perdono è stato proprio Dio in Gesù Cristo crocifisso, mostrando che questo è l’unico modo per risorgere dalla morte interiore che il male produce.
La pratica del perdono è, quindi, una prassi quotidiana di umanizzazione e un’esigenza sempre difficile. Ogni volta che si chiede scusa, la forza che si libera è tale da far sentire la portata della rivoluzione della misericordia.
Domenica delle Palme - Premi QUI se non si vede il video
Tre giovani maliani che hanno attraversato per settimane mezza Africa, anche sahariana, partendo dai dintorni di Bamako, capitale del Mali, per arrivare a Tripoli di Libia, dove, per sfuggire ai controlli, sono stati “caricati” di notte, come tanta parte di umanità, su barconi che, per loro, hanno significato attraversamento di speranza. Dopo quattro giorni di navigazione confusa, senza meta precisa, abitati da angosce causate da scafisti che vagavano per il Mediterraneo non sapendo bene verso quale direzione puntare, i giovani sono stati “scaricati”, come merce scaduta, a ridosso delle coste della Sicilia (dove, non lo ricordano).
I tre giovani sono Musà (24 anni), Giangi (25 anni), Mumadì (20 anni). Ora, nei fine settimana, assieme ad altri quindici-venti coetanei, vivono a Bosco di Rubano, nella Casa Abramo, mentre, durante la settimana, lavorano a Monselice come magazzinieri nel turno di notte (dalle 21.00 della sera alle 4.00-5.00 del mattino) e frequentano la scuola per imparare bene l’italiano.
Domenica scorsa Musà e Giangi sono stati a pranzo a casa della mamma, dove, generalmente ci ritroviamo tutte le domeniche ed i giorni di festa per condividere un boccone insieme. Mumadì è stato ospite, invece, a casa di Simone e Tiziana.
Sabato sera i nostri genitori ci comunicarono che l’indomani avremmo avuto come ospite a casa un ragazzo di colore di nome Momadì.
All’inizio non ero molto favorevole a quest’idea, un po’ per timidezza e, a dire la verità, un po’ per pregiudizio.
Terminata la partita tornai a casa e mi trovai davanti alla porta questa figura a me sconosciuta, all’apparenza molto giovane e simpatica. Dopo aver scaricato la roba sporca e averla messa nella lavatrice, mi trovai un’altra volta davanti questo ragazzo che mi invitava a sedere sul divano per parlare un po’; rimasi esterrefatto per il semplice motivo che una persona mai stata dentro casa mia mi invitasse a sedere sul mio divano.
Dopo esserci salutati e presentati decisi di farmi raccontare tutta la sua storia e iniziai subito facendogli diverse domande. Mi disse di avere vent’anni, di provenire dal Mali e che in quella regione si parlano il francese, l’inglese e il loro dialetto a seconda della posizione in cui si stava.
Senza perdere un secondo gli chiesi della sua famiglia e della guerra che si sta svolgendo attualmente in qui paesi: mi spiegò che la sua famiglia abita nel nord del Mali e che la guerra, fortunatamente, si stava svolgendo a sud. Mi disse inoltre che la sua famiglia era composta da mamma, papà e due fratelli: uno di sedici e l’altro di quattordici anni.
Così gli chiesi da quanto tempo abita qui e se in questo periodo li avesse mai sentiti. Dispiaciuto mosse la testa a destra e a sinistra ripetutamente e dopo un lungo sospiro mi disse che vive qua in Italia da un anno e otto mesi e che in questo lungo periodo non ha mai sentito i suoi familiari: loro non sanno delle sue condizioni e viceversa. Rimasi colpito da questa sua affermazione e senza parole.
Al di là dei gusti e delle mode (può piacere o non piacere), il viola per la colorimetria è un colore non esattamente caldo ma neppure esattamente freddo. Esso si ottiene, infatti, miscelando il rosso con il blu: un colore caldo con un colore freddo.
Il viola è un colore “vero” perché, per le sue caratteristiche, interpreta la nostra vita: essa non è tutta fredda ma non si può neppure dire che sia totalmente calda, non è solo uno spazio di tristezza e angoscia ma neppure la pienezza della felicità. In questa vita siamo viola: facciamo esperienze belle ma non siamo mai completamente ed eternamente felici, non possiamo dire che la vita sia solo un dramma ma conosciamo bene cosa significhi soffrire. Il viola tiene insieme, senza confonderle, le realtà opposte che sperimentiamo nei giorni di questa vita.
Per questo motivo è un colore di passaggio, o meglio la liturgia lo utilizza nei tempi di passaggio (Avvento, Quaresima, rito delle esequie) per comunicarci che viviamo realmente tutti questi sentimenti e queste esperienze, ma non saranno eterni. Nei giorni di festa, infatti, si presentano i colori bianco e dorato per ricordarci la promessa che, nella fede, Gesù ci ha fatto, ma il viola rimane il colore del viaggio della nostra vita e, sullo sfondo di questa attesa, guardiamo sempre alla luce bianca della felicità piena.
Ordunque, visto che ci troviamo in questo violaceo viaggio, tanto vale assumerne i toni e vivere consapevolmente tutti i colori della vita, anche quelli freddi dell’insuccesso e della fatica.
La Quaresima la realtà e la varietà dei colori dei nostri giorni e dei sentimenti: essa è un richiamo ad orientarci alla luce della Pasqua, a credere alla luce della risurrezione pur rimanendo con i piedi per terra, e a vivere con coraggio le nostre giornate quotidiane.
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Domenica 14 febbraio i ragazzi del gruppo Gerusalemme hanno vissuto il rito dell’Elezione.
Tutta la comunità si è raccolta intorno a loro, insieme ai genitori, le madrine, i padrini, noi catechiste, gli animatori...
Sono stati momenti emozionanti, in particolar modo per i nostri ragazzi che, uniti intorno all’altare con la loro maglietta a simbolo del “viaggio” iniziato con Gesù attraverso il Battesimo, ora proseguono questo meraviglioso cammino anche attraverso questa consegna in cui ognuno di loro ha messo la propria firma nel Libro degli eletti a significare che sono stati chiamati e scelti da Dio, ciascuno con il proprio nome.
Il 6 marzo questi ragazzi vivranno un altro momento importante con il rito dell’Unzione e dello Scrutinio in preparazione ai sacramenti dell’Eucarestia e della Confermazione che verranno celebrati durante la prossima veglia pasquale.
Ringraziamo tutte le persone che con la loro preziosa presenza e aiuto hanno reso possibile questa giornata speciale!
Le catechiste del gruppo Gerusalemme
A pranzo domenica nella nostra famiglia è stato invitato un ragazzo extracomunitario; si dice così normalmente, ma per noi è solo una persona lontana dalla propria terra, dalla propria casa e dai propri affetti.
Dopo l’invito tramite don Lorenzo, un po’ ci eravamo preoccupati… Cosa preparare? Di cosa parlare? Come far sentire a suo agio una persona di una cultura così diversa dalla nostra? Naturalmente tutto è stato più semplice del previsto, per noi e, speriamo, anche per lui.
Noi con le nostre domande di conoscenza (a volte anche un po’ invadenti!), lui con il suo italiano incerto, ma con tanta voglia di farsi capire! Da lui abbiamo imparato che la Nigeria è un paese molto ricco e meraviglioso, ma purtroppo sotto il continuo giogo di terroristi e governi che uccidono indistintamente cristiani o musulmani. Ci ha parlato, facendoci commuovere, della sua mamma la quale ogni volta che sente il figlio per telefono si mette a piangere, del padre morto molti anni fa, dei fratelli e delle sorelle, alcuni di loro sempre all’estero in cerca di un futuro migliore come facevamo noi italiani qualche decennio fa cercando nella Statua della Libertà un orizzonte migliore per i nostri figli.
Ecco, non credo che questo pranzo domenicale possa cambiare il mondo o smuovere le potenze della Terra sul delicato tema, l’immigrazione, ma è servito per donare (e donarci!) qualche ora di serenità e calore della nostra casa, quell’amore a cui ogni essere umano ha diritto per vivere e stare bene. Per noi è stata una bella esperienza averti conosciuto e speriamo veramente che ti sia sentito ACCOLTO.
I siti delle altre parrocchie del nostro vicariato: