Dal Vangelo secondo Luca
Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.
Signore, tu che ci hai insegnato che è sempre lecito fare del bene, donaci la capacità di amare senza provocare sofferenza, di elargire un amore che sia solo bene e fa’ che anche noi possiamo ricevere altrettanto.
La cosa incredibile è che non è un’idea nostra e neppure di Papa Francesco. L’Anno della misericordia è un’idea di Dio. L’ha inventata lui e l’ha voluta condividere con gli uomini fin da subito (cf. Levitico, 25). Il Papa ha scelto questo Giubileo straordinario per ricordarci che Gesù è il nostro Samaritano che si mette pazientemente per strada, si prende cura di noi e fascia le nostre ferite: ci ama. Se ci lasciamo raggiungere dall’amore di Dio, saremo pronti per un’altra storia.
Come si vive il Giubileo? Anzitutto esso non è solamente varcare una porta o fare un pellegrinaggio, questi sono segni esteriori necessari che devono, però, incidere nelle scelte. L’atteggiamento corretto è duplice: sentire il bisogno di cambiare qualcosa perché questo è il momento favorevole, e chiedere l’aiuto e la misericordia di Dio. In parole semplici, ci sono aspetti della nostra vita che facciamo davvero fatica a cambiare perché sono radicati nel carattere; chiamiamoli, se vogliamo, peccati, oppure in qualsiasi altro modo, ma rimangono aspetti che non ci piacciono. Abbiamo tentato tante volte, investendo tante risorse, a modificare questi tratti caratteriali (con esisti positivi o meno), ma continuano ad essere causa di tensioni interiori, delle vere spine nel fianco. In quest’anno Dio ci ama in modo particolare nelle nostre ferite. Una cosa che blocca l’amore di Dio è l’atteggiamento che tende a giustificare il male: da questo sì dobbiamo guardaci bene. Dio non è fermato dal male, anzi è venuto per liberarci da esso, ma la scelta libera di acconsentire o meno e di giustificare o meno il male può aprire le porte a Dio oppure chiuderle. Ecco quali sono le vere porte da aprire. Certo si apriranno quelle delle basiliche: per questo Giubileo non sarà obbligatorio recarsi a Roma, ma potrà essere vissuto in ogni diocesi.
Il giubileo per i cattolici è, quindi, un tempo straordinario di Grazia, nel quale concedersi a Dio, ovvero riconoscere i propri peccati e affidarsi alla sua misericordia, e durante il quale chiedere grazie particolari. In quest’anno Dio si mette proprio a disposizione, chiediamogli cose grandi: la capacità di amare e di donare la vita, la forza di fare scelte coraggiose e le motivazioni per aiutare i poveri e quanti si trovano in difficoltà, il coraggio di cambiare il nostro cuore e la pace, l’unità tra noi cristiani e la coerenza della testimonianza; chiediamogli di vivere il vangelo senza ambiguità. In questo tempo possiamo davvero mettere in sesto le nostre vite anche se dovessero essere sbandate. Una cosa è pericolosa: l’atteggiamento dei farisei, ovvero quello di sentirsi a posto: «Sono gli altri a dover cambiare, io non ho bisogno del Giubileo».
È sabato pomeriggio, ho tantissime cose da fare, accompagno mia figlia a catechismo. Oggi c’è l’incontro anche per i genitori, ma io non posso, ho troppo da fare! È impossibile! Magari, però, metto dentro la testa in sala polivalente per dare un saluto.
Sono circondata di colpo da sorrisi accoglienti, profumo di caffè, biscottini e amicizia. Be’, magari mi fermo un po’!
Si scherza, ci prendiamo un po’ in giro sulle nostre fatiche quotidiane e piano piano si crea un’atmosfera familiare, un grande anello di sedie e condivisione. Gli accompagnatori sono bravissimi! Con molta delicatezza ed inventiva ci stuzzicano con piccoli giochi, dove non è difficile scoppiare a ridere ed abbassare le difese. Mi ritrovo ad ascoltare le piccole e grandi cose delle vite degli altri e scopro che sono simili alle mie. Le mie paure, le mie ansie di genitore, sono anche le loro. Su tutto questo, la parola di Gesù, analizzata insieme, con calma, scende come un balsamo sulle nostre insicurezze. Parole semplici ma potenti che mi scuotono e mi sorprendono sempre per il loro significato universale e senza tempo.
Grazie a tutti, grazie di cuore per quest’ora di riflessione ed intimità. Sto tornando a casa, mano nella mano con mia figlia; è vero, ci sono tante cose da fare, ma camminiamo insieme e con una luce nel cuore: è questa la cosa più importante!
Lidia Cianfrone
Desiderare è il motore dell’amore. Chi desidera è già nel futuro pur rimanendo nel presente, perché è tutto proiettato in avanti, verso la meta da raggiungere. Chi desidera, infatti, è nell’oggi, nel “qui” ed “ora”, eppure l’energia di attrazione verso la cosa desiderata lo spinge oltre e fuori di sé: si può dire che egli sia attratto al punto da essere più nella cosa desiderata che in se stesso.
Al contrario chi non desidera è come se fosse fermo, certo presente a sé, ma quasi inerte e senza tensione alcuna: egli è vivo ma è come se si sentisse morto, come se non avvertisse nulla perché niente lo spinge più in là di dov’è.
Si esperisce poi il fatto di essere desiderati o all’esatto contrario di non essere desiderati: in questi casi siamo (o non siamo) noi, l’oggetto del desiderio, ovvero la causa di quella forza che potrebbe far smuovere gli altri.
L’Avvento è tutto ciò. Anzitutto è Dio che avverte una forza di attrazione che lo spingerà, nel Natale, ad uscire da sé per venire incontro a noi. Avvento dovrebbe però essere anche il moto uguale e contrario, cioè un forte desiderio di Dio da parte dell’uomo, un desiderio di uscire dai suoi schemi per desiderare Dio.
Ciascuno potrà verificare con sincerità al termine di questo Avvento se si è mosso: se Dio è stato così affascinante da spostarci almeno un po’.
«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36). Parole e gesti di Gesù, come le parole e i gesti di papa Francesco, similmente alle parole e ai gesti di tanti fratelli vicini e lontani che vediamo soffrire.
Non possiamo dirci: «io non posso fare nulla» La presenza di Casa Federica è stata voluta per accogliere coloro che abbisognano di cure e i loro familiari, per offrire loro un luogo dove poter sostare e trovare ristoro per le ferite del corpo e dello spirito, per donare loro un po’ di consolante amicizia e compagnia. Segni chiari, ma ce ne sono altri nella comunità, che gli uomini sono capaci di comprendersi, di aiutarsi e di volersi bene: sappiamo “approfittare” del bene che è presente in parrocchia, gustiamolo e siamone “orgogliosi” Un ringraziamento va a tutti coloro che contribuiscono a sostenere Casa Federica investendo tempo, energie ed emozioni.
Con il banchetto allestito durante la sagra sono stati raccolti 900,00 euro, ma dove davvero la partecipazione ha superato le più rosee aspettative è stato alla festa organizzata in sala polivalente il 25 ottobre: grazie alla generosità dei 335 partecipanti (le iscrizioni sono state chiuse per esaurimento dei posti in sala) siamo riusciti a donare all’AIL ben 5.000,00 euro che saranno utilizzati per una borsa di studio per la ricerca sulle leucemie degli adulti. Nel pomeriggio poi sono stati raccolti altri 1.100,00 euro, depositati nel fondo parrocchiale per le spese della casa.
I risultati di questo progetto si continuano a vedere: la scorsa settimana è ritornata a casa la signora Eugenia dopo essere stata qui per circa 20 giorni, mentre sono tornati tra noi per qualche giorno il signor Salvatore con la moglie Maria che avevamo già ospitato in altre tre occasioni.
Un desiderio: avrei piacere che Casa Federica fosse “più sentita” dalla comunità, non solo da quelli che la gestiscono. Essa è espressione di una carità molto quotidiana e reale: a tutti può capitare di ammalarsi e di doversi spostare lontano da casa per le cure. Lo chiedo a tutti i parrocchiani, a noi che siamo cristiani: sentiamo nostra questa missione di concreta carità per il fratello e la sorella ammalati.
I vescovi italiani si sono riuniti a Firenze per riflettere su quale sia il modo migliore per “dire” e per “vivere” l’uomo e Dio nel nostro tempo e nella nostra Italia. Le parole, i gesti e le scelte di Papa Francesco segnano tratti precisi, già presenti nella storia della Chiesa, e aiutano tutti noi cristiani a trovare la via migliore oggi per far sì che l’uomo possa incontrare Dio.
Il centro è sempre Gesù, modello di umanità piena, con la sua bellezza e le sue virtù che troviamo ben descritte nelle beatitudini (Mt 5,1-12). Dall’altra parte c’è l’uomo, l’umanità intera, che se da un lato, essendo immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26), ha una sua legittimità ed è portatrice di verità e di senso, dall’altro è segnata anche dalla fragilità e dal limite del male e del peccato e, pertanto, tende a migliorarsi e a guardare a Gesù come esempio e modello. In questo viaggio tra l’uomo e Dio, in questo dialogo del Creatore con la sua creatura, si gioca la nostra storia. La domanda, se si vuole, è sempre quella: quali strade e quali scelte intraprendere perché Dio e l’uomo continuino a incontrarsi?
Questa tensione chiede a noi d’interrogarci sul modello di uomo che si vuole formare e su chi sia l’esempio a cui ci riferirsi.
Dal desiderio all’azione: è proprio qui che proprio noi cristiani rimaniamo incagliati, possiamo dire “fregati”. «Io lo farei, se potessi»: qui si blocca il passaggio dal desiderio all’azione, da ciò che “sento nel cuore” come buono e autentico a ciò che agisco. Non è un discorso di ordine morale, anche se può far male, ma è un discorso esistenziale, cioè pertinente alla vita. È come aver studiato fino alla quinta superiore e poi non dare gli esami di maturità.
Nella vita è normale incontrare degli ostacoli — ostacoli al cambiamento, al costruire qualcosa di buono, alla realizzazione di un progetto — e tutti noi ne affrontiamo quotidianamente; il modo per chiudere gli occhi e non iniziare nemmeno a prenderli in considerazione è condensato in quell’espressione: «Se potessi, lo farei». Anche alcuni colori della saggezza popolare in passato tornavano su questi tasti: «L’inferno è lastricato di buone intenzioni». Accantonata la loro lapidarietà, tali vetuste espressioni dovrebbero aiutare a riflettere. Anche Gesù ritorna su questo tema: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7,21).
In questi giorni sentiremo Gesù venirci incontro con delle parole strane, troppe volte sentite e poche ascoltate. Perché ci arrivano queste parole proprio nella ricorrenza dei santi e nella commemorazione dei defunti, amici del cielo ai quali spesso chiediamo di illuminare la nostra vita qui sulla terra?
«Beati i poveri in spirito»: l’espressione indica coloro che scelgono volutamente la povertà, non i sempliciotti; la categoria biblica è quella degli anawim di Dio (i poveri di Dio), quelli cioè che si affidano unicamente a lui come sostegno per la propria vita terrena. Sono coloro che si fanno vuoti per trovare in Dio la propria pienezza. Il povero per eccellenza è Gesù, e i poveri sono i privilegiati nel suo annuncio.
Diventando grande ho imparato a scoprire ed apprezzare alcune cose.
Avrei voluto e potuto viverle da giovane, invece la mia giovinezza l’ho trascorsa, per la più parte, lontano dalla Chiesa e nell’indifferenza anche nei confronti di Dio. Per questo non voglio che i giovani della mia parrocchia si privino di momenti e incontri che io ho assaporato dopo, da seminarista o da sacerdote.
Vi lascio queste parole e questo invito; chi saprà coglierli, giovane o genitore di ragazzi giovani, chi saprà approfittarne, troverà di sicuro una perla preziosa. Di questo sono certo!
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7)
Forse alcuni di voi si domandano: «Che cos’è questo Anno giubilare celebrato nella Chiesa?» Il testo biblico di Levitico 25 ci aiuta a capire che cosa significava un “giubileo” per il popolo d’Israele: ogni cinquant’anni gli ebrei sentivano risuonare la tromba (jobel) che li convocava (jobil) a celebrare un anno santo, come tempo di riconciliazione (jobal) per tutti. In questo periodo si doveva recuperare una buona relazione con Dio, con il prossimo e con il creato, basata sulla gratuità.
Perciò, tra le altre cose, si promuoveva il condono dei debiti, un particolare aiuto per chi era caduto in miseria, il miglioramento delle relazioni tra le persone e la liberazione degli schiavi.
I siti delle altre parrocchie del nostro vicariato: