Finalmente! Finalmente ho capito! Quando mi dicevano “missione parrocchiale” mi chiedevo: «Ma cosa sarà mai questa missione?». Di solito per missione si intende il diffondere la Parola in luoghi dove ancora non la conoscono, e non è sicuramente il caso dell’Italia, che da molti secoli è stata evangelizzata. Non avevo capito niente.
In questo periodo di Quaresima abbiamo avuto la fortuna di sperimentare la missione nelle nostre parrocchie e nelle nostre case, abbiamo ricevuto dai missionari di Villaregia il loro tempo con gioia e determinazione, malgrado il freddo e la neve, contenti di fermarsi nelle nostre case, di benedirci, di spendere qualche parola con noi…
Io e la mia famiglia abbiamo ospitato un sacerdote che è stato dieci anni in Perù. Naturalmente prima che arrivasse avevo un po’ di ansia, non sapendo chi avrei dovuto ospitare: pensavo a come fare affinché la sua permanenza in casa nostra fosse piacevole e comoda per le sue esigenze. Tutto ciò è stato spazzato via subito dal primo momento: abbiamo trovato una persona semplice che non ha avuto nessun tipo di problema a stare con noi, anzi sembrava uno di casa, direi quasi un nostro familiare. Abbiamo condiviso le nostre cene parlando delle sue visite alle case, ed era quasi come se anche noi avessimo passato la giornata con lui suonando i campanelli e pregando assieme alle persone che aveva incontrato.
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Papa Francesco ha inviato, lo scorso novembre, un messaggio all’Associazione Medica Mondiale di cui fanno parte medici di varie estrazioni sia culturali che religiose. Il testo, che tocca i temi del fine vita, ha suscitato interpretazioni differenti e talora divergenti.
Il pontefice, che ha confermato il «no» all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, ha però presentato con nuovi accenti la sospensione doverosa delle cure sproporzionate e la centralità del giudizio della persona malata. Contro ogni forma di abbandono ha insistito sulla «prossimità responsabile» e sulle cure palliative.
In questo contesto il Papa ha messo in evidenza come le trasformazioni della società incidano sui modi in cui oggi si muore. La medicina rende certamente un enorme servizio, ma la persona non si cura e non si ama solo con la tecnica. Avviene spesso che le patologie non vengano sconfitte ma arginate, pertanto si allunga, assieme alla vita, anche il tempo della malattia e della sofferenza. La riflessione si snoda «sull’appropriatezza clinica» e la «proporzionalità delle terapie»: non c’è sempre l’obbligo morale di utilizzare tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili, in casi ben determinati è bene astenersi. I medici dispongono delle competenze per valutare queste situazioni.
Altro aspetto è la «centralità della persona malata»: occorre rendersi conto delle sue forze fisiche e morali, e l’unico modo per acquisire questi elementi è la consultazione e l’ascolto della persona stessa. Per giudicare la proporzionalità delle cure occorre, quindi, integrare due ordini di fattori: le competenze dei medici e la situazione della persona malata.
In conclusione il papa segnala il pericolo «dell’ineguaglianza terapeutica» come ingiustizia di cui le decisioni di fine vita devono terne conto e della necessità di soluzioni condivise, anche normative, nella società democratica.
Per l’uomo è sempre importate avere dei criteri per poter scegliere, per questo le nostre comunità propongono, all’interno della missione, un percorso sui temi di inizio e fine vita presso l’OIC di Mandria. Saranno occasioni per riflettere e anche per liberarci da gabbie culturali o da sensi di responsabilità eccessiva.
INCONTRI DI BIOETICA E GIORNATA DEL MALATO
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