Aprendo il vangelo, ciascuno può dirsi: queste parole di Gesù sono un po’ come una lettera molto antica che mi è stata scritta in una lingua sconosciuta. Siccome mi è stata inviata da qualcuno che mi ama, cerco di comprenderne il senso e provo subito a mettere in pratica nella mia vita il poco che ne afferro.
All’inizio, non sono le vaste conoscenze che contano. Avranno certo un loro grande valore. Ma è attraverso il cuore, nelle profondità di se stesso, che l’essere umano comincia ad afferrare il Mistero della Fede. Le conoscenze verranno. Tutto non è dato immediatamente. Una vita interiore si elabora a poco a poco. Ci addentriamo nella fede oggi un po’ più di ieri, avanzando per tappe.
All’intimo della condizione umana rimane l’attesa di una presenza, il silenzioso desiderio di una comunione. Non lo dimentichiamo mai: questo semplice desiderio di Dio è già il principio della fede.
E poi, nessuno riesce a comprendere tutto il vangelo da solo. Ciascuno può dirsi: in questa comunione unica che è la Chiesa, ciò che non comprendo della fede altri lo comprendono e lo vivono. Non mi appoggio solamente sulla mia fede ma sulla fede dei cristiani di tutti i tempi, a partire da quelli che ci hanno preceduto, come la Vergine Maria e gli apostoli, fino a quelli di oggi. E giorno dopo giorno mi dispongo internamente ad aver fiducia nel Mistero della Fede.
Allora è chiaro che la fede, la fiducia in Dio, è una realtà semplicissima, così semplice che tutti la possono accogliere. È come un sussulto ripreso mille volte lungo tutta l’esistenza e fino all’ultimo soffio.
Frère Roger, comunità di Taizé
L’avvento, con il suo colore viola, né caldo né freddo, ci mette in un clima intermedio, di attesa: «ci sono, ma aspetto qualcosa di più» è il grido della speranza e il colore del sogno, tra il “già” e il “non ancora”!
Nelle nostre parrocchie vivremo l’avvento costruendo il “presepe nelle macerie”, raccogliendo fondi per i nostri amici terremotati, iniziando a vivere la messa con i giovani ogni domenica alle ore 19.00 presso la chiesa di Mandria. Sono segni molto belli. Come bello è stato il momento di incontro vissuto dai Consigli pastorali domenica 20 novembre: ci siamo, tra il “già” e il “non ancora”, cioè abbiamo spazio per attendere e desiderare.
Un altro sogno è quello che la Chiesa rifiorisca dalla fede dei laici e delle famiglie, con il nascere all’interno delle parrocchie di tante piccole comunità di base. Eccone un primo segno: desideriamo, aspettiamo che sia il primo di altri.
Scegliere che la vita sia preghiera e che la preghiera sia vita
Noi famiglie Fanzago e De Spirito abbiamo deciso di credere che questa sia ancora oggi l’unica via che porta alla Vita. Questa è la Parola che ci è stata annunciata e sulla quale abbiamo deciso di camminare insieme:
Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. (At 2, 42-47)
Abbiamo detto più volte che l’Avvento è il tempo per desiderare e che l’attesa è il desiderio che si fa - si dilata - nel tempo: il desiderio prende la forma dell’attesa temporale. Vorrei che desiderassimo “in grande”.
Forse una difficoltà (se proprio non la si può chiamare malattia) di questi ultimi anni è quella che ha portato, pian piano, allo spegnimento della nostra capacità di desiderare e di sognare. Per questo vorrei tracciare un breve percorso che può essere applicato alla grande storia sociale dell’Europa, alla vita delle nostre due parrocchie e alla storia personale di ciascuno.
La prima tappa è lo scambio di memorie. Tutto e tutti noi siamo l’edificio vivente costruito sui mattoni passati della storia. Spesso, accanto ai mattoni buoni e felici, ce ne sono altri difficili, mal posizionati, talvolta rotti. Se pensiamo alla storia anche recente del nostro continente, senza dimenticare gli eventi delle nostre comunità parrocchiali, insieme a quelli personali di ciascuno, ci rendiamo conto che esistono delle fatiche, talvolta degli orrori inaccettabili che vivono in noi.
A volte ci si chiede cosa sia o chi sia la Chiesa. Tante possono essere le risposte, molte di più le opinioni che ciascuno di noi può farsi in base a esperienze positive o meno.
Ma per avere la risposta certa, quella vera, ovvero per trovare la strada giusta e la forma più adatta per vivere la Chiesa, si deve andare al suo fondatore, a chi ha voluto la chiesa, ovvero a Gesù. Egli cosa dice a proposito della Comunità cristiana? Gesù, al dottore della legge che gli chiede quali siano i comandamenti più importanti, risponde: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22, 36-40).
Amare Dio e il prossimo sono due, non uno, come due sono i polmoni con i quali respira il nostro corpo. Certo si può viere anche con un polmone solo, ma è diverso e un po’ più difficile, bisogna tenere particolari attenzioni... insomma, meglio averne due.
Amare è il respiro, e amare è chiaro cosa significa per Gesù: amare a fino a perdonare il nemico e a dare la vita per lui; e qui ci fermiamo perché non c’è nulla da spiegare, Gesù è molto chiaro.
Amare Dio con tutto noi stessi, quindi non solo in alcune parentesi, ma con tutto il tempo e le risorse della vita (amare Dio quando sei a scuola, al lavoro, in famiglia, nel tempo libero; amarlo con la tua intelligenza, con i tuoi sentimenti, con le tue mani…).
Amare il prossimo è l’altro polmone, quasi a dire che non si può amare pienamente Dio senza amare il prossimo e non si può amare il prossimo senza amare Dio. In effetti, talvolta noi non riusciamo ad avere un amore così grande come ad esempio quello richiesto dal perdono, dobbiamo prendercelo, per così dire, dall’amore di Dio, cioè dobbiamo chiederlo nella preghiera perché ci venga donato.
I siti delle altre parrocchie del nostro vicariato: