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Trovare Dio in ogni cosa

preghieracontattodioNon ho mai avuto un buon rapporto con la preghiera. Avevo probabilmente sei o sette anni quando alla classica domanda materna: «Hai detto le preghiere?» rispondevo falsamente con un «Certo,
mamma».

Il motivo di allora non so dirlo esattamente, ma ripensandoci credo che fossero per me una cosa inutile, che non mi appartenessero e non mi dessero nessuna emozione. Erano un semplice ripetere una filastrocca come tante altre, forse più noiosa per un bambino. Quando ero bravo riuscivo a dirle con il “pilota automatico”, continuando, in simultanea, a pensare ai fatti miei.
Poi con l’età, con l’esperienza, una persona magari realizza che pregare può essere anche stare in silenzio con se stessi, cantare con gioia, godere del sorriso di un anziano, piangere di dolore, recitare, ballare, aiutare: se Dio ci ha dato il mondo e ci ha fatti capaci di fare tante cose, in tutto questo c’è Dio e a lui dovrebbe far pensare ogni azione che facciamo.

Ecco che le parole di don Lorenzo all’omelia di domenica 24 luglio mi hanno molto rinfrancato: un invito ad uscire dai rigidi rituali e dagli schemi preconfezionati per lasciarsi trasportare dalle emozioni e dal cuore, per una preghiera che possa mettere in contatto con Dio.

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Guaritori feriti

guaritoriferitiLe comunità si feriscono, le relazioni possono conoscere momenti di distanza, i rapporti possono realmente fratturarsi: lo sperimentiamo spesso a motivo delle nostre visioni differenti della vita, dei caratteri e dei sentimenti che ciascuno vive, e per il fatto che non siamo esenti da dubbi, paure e incertezze, da quella sfiducia che toglie la speranza e la possibilità di vedere il bene.

Siamo feriti e feriamo: questa è una condizione dell’esistenza, del nostro mondo affettivo e delle nostre relazioni. Molte delle energie di ciascuno vanno spese proprio per le relazioni. Siamo chiamati a vivere l’amore come “guaritori feriti” e capaci di ferire, ci sentiamo come vagabondi in cerca di un bene grande che conosciamo e desideriamo ma che troppe volte roviniamo o vediamo sgretolarsi sotto il nostro sguardo impotente. Ci chiediamo allora “perché?”: perché non è possibile amare ed essere amati, vivere pienamente le esperienze belle che la vita ci fa assaggiare e pone innanzi a noi?

Perché? Perché nel mondo esiste il male, e il male fa male. La Bibbia parla del Diavolo come il dia-ballo, ovvero come colui che divide. Apriamo gli occhi: ogni volta che nella comunità accade qualcosa che porta divisione (si può anche avere ragione, ma di fatto ci si divide) è il male che cerca di rovinare il progetto di Dio che è l’unità e la pace. Ogni volta che due persone si allontanano e si dividono per incomprensione o per paura, per il detto e il non detto, è il male che cerca di dividere.

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Desaparecidos

desaparecidos«Ho saputo d’essere figlio di desaparecidos solo all’età di 19 anni», racconta Claudio Goncalvez.
Con il termine desaparecidos (scomparsi) si indicano le persone arrestate tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 in Cile e in Argentina in quanto accusate o sospettate di opposizione ai regimi dittatoriali presenti nei loro Paesi. Di queste persone, un numero superiore a 30 mila in Argentina e quasi 40 mila in Cile, si è persa ogni traccia in seguito al loro arresto.

«Mio padre lo hanno sequestrato il primo giorno del colpo di stato (il 23 marzo 1976). Io non ero ancora nato, sono nato in giugno. Nel novembre del ‘76 eravamo con la mia mamma, che aveva altri due figli di 4 e 5 anni. I militari sapevano bene chi stava dentro l’appartamento (un solo uomo, 2 donne e 3 bambini) e in 40 – ben 40! – hanno circondato la casa e hanno attaccato con armi da guerra. Quel giorno sono rimasto io da solo. Mi hanno portato in ospedale dove sono rimasto 6 mesi. Non hanno mai detto alla mia famiglia che io ero vivo. I miei nonni mi cercavano. I militari sapevano chi ero io, chi era la mia famiglia, ma la regola era il silenzio. Il loro scopo coi bambini – quando non li portavano via – era di impedire loro di tornare con la propria famiglia per evitare che diventassero uguali ai propri genitori. Ed è per questo che, dopo sei mesi senza che nessuno mi venisse a trovare, mi hanno dato in adozione a una famiglia che non conosceva le miei origini. L ’organizzazione Abuelas, insieme ad altre organizzazioni con cui lavora, è riuscita a trovarmi dopo 19 anni.

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Chiedete e vi sarà dato

stessabarcaChiedere è un gesto complesso e carico di tante emozioni; è un’esperienza di fraternità e, contrariamente a quanto può sembrare, un gesto di coraggio come fare il primo passo in una relazione.

Anzitutto chi chiede si sente nel bisogno e ha quella consapevolezza, che gli viene dall’esperienza della vita, di non poter fare tutto da solo: si sente legato agli altri e vive un’esperienza di solidarietà. Chi non chiede, o è da solo o pensa illusoriamente di potercela fare da solo: in ogni caso vive un’esperienza di solitudine.

D’altra parte il destinatario della richiesta si sente interpellato, forse anche investito dalla domanda. Sentirsi chiedere qualcosa da qualcuno è molto bello: vuol dire che l’altra persona ha stima di me. Spesso a taluni non chiediamo niente perché crediamo che non possano darci granché, mentre chiediamo molto a coloro per cui sentiamo grande considerazione. “Sentire” la richiesta poi è questione di sensibilità: le persone più ricettive colgono, prendono in considerazione e in vari modi rispondono; quelle insensibili accaparrano spesso scuse che servono solo a spegnere la sensibilità alla risposta. Rispondere in modo affermativo è un’assunzione di responsabilità: io mi sento partecipe con te e di te, è un gesto di solidarietà che costruisce e rinsalda i rapporti, fa sentire alle persone un legame di fratellanza. A volte si può anche dire solo: «Mi spiace, non posso aiutarti questa volta, ma ti sono vicino»; rimane comunque una risposta. Le circostanze della vita sono tante; spesso noi pensiamo i rapporti come qualcosa di romantico e ideale, invece le relazioni sono reali. Al di là di tante patine, di abbracci e baci, di discorsi altisonanti e sorrisi, forse più di tutto vale la risposta alla richiesta che un fratello ti fa.

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Al di là di quel che si dice

aldilaNella “globalizzazione dell’indifferenza” due fatti hanno scosso la nostra coscienza. Nel marzo scorso, la foto di una bambina neonata che viene lavata nel campo di Idomeni (al confine tra Grecia e Macedonia): la madre cerca di lavarla con l’acqua di una bottiglietta di plastica. È inverno anche lì, fa freddo e tutt’intorno ci sono fango, immondizia e plastica.

Mancano le condizioni igieniche minime per un bambino che nasce: non c’è un tetto, solo una tenda. L’altra immagine è quella dal bambino siriano senza vita riverso con la faccia sulla sabbia di una spiaggia turca vicino a Bodrum. Era il 2 settembre 2015. Il suo nome è Aylan. Aveva tre anni ed era partito dal nord della Siria, ma il suo viaggio della speranza si è concluso in tragedia con il naufragio. Con lui sono morti il fratellino Galip di cinque anni e la loro madre. Questi bambini non erano i soli, ma due dei 270.000 minorenni che nel 2015 hanno cercato di arrivare in Europa. I minori rappresentano il 27% delle persone registrate, e la maggior parte di questi ha tra i 15 e i 17 anni. Qui si apre il baratro: almeno 10.000 minori emigrati in Europa sono spariti nel nulla (Cifre di Europol di Londra, del Ministero del Lavoro - Direzione Generale dell’Immigrazione e della Fondazione Migrantes. Dalla documentazione di Save the Children risulta che il 30 giugno 2015 in Italia fossero presenti 1.892 minori egiziani di cui 1.239 risultavano irreperibili: piccoli fantasmi ingoiati dal nulla. Nelle documentazioni del Ministero delle Politiche Sociali si confermano le testimonianze di sfruttamento, abusi, violenza fisica e sessuale subiti da minori.

La migrazione è il fenomeno che maggiormente ha caratterizzato il 2015, ed è la conseguenza della storia contemporanea: i numerosi conflitti che lacerano l’Africa (Nigeria, Burkina Faso, Burundi, Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto e Siria), il terremoto in Nepal, gli sconvolgimenti in Medio Oriente, il fenomeno dello “Stato Islamico”, i flussi dall’est (Ucraina, Bulgaria, Romania) hanno causato un movimento migratorio di circa un milione di persone. Molte di queste si sono avventurate per mare mettendo a repentaglio la propria vita. In questa cronaca il dramma nel dramma: le migliaia di bambini che arrivano, vengono registrate e poi scompaiono nel nulla.

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Leggi o Scarica L'ARCA di questa settimana, il nuovo bollettino parrocchiale delle comunità di Voltabrusegana - Mandria, e VOLTABOOK il notiziario periodico sull'attivita dei vari gruppi parrocchiali di Voltabrusegana.


DonLorenzo

Don Lorenzo Voltolin
Tel. 049.685508
Cell. 340.7223749  -  339.6007243
E-mail:voltabrusegana@diocesipadova.it

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Festive
Sabato ore 18.30 (a Mandria) 
Domenica ore 8.30 e
11.00
Domenica ore 8.00 e 10.00 (a Mandria), 10.30 e 17.00 (all'OIC) 

Feriali
Lunedì e venerdì ore 18.30
Martedì, mercoledì e giovedì ore 18.30 (a Mandria)

Rosario
Lunedì e venerdì ore 18.00 in chiesa
Martedì, mercoledì, giovedì e sabato 18.00 (chiesa di Mandria)

Lodi mattutine
Lunedì, martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 8.00 (a Mandria)

Adorazione eucaristica continua
Venerdì dalle ore 16.00 alle ore 24.00 (Chiesa Mater Dei - O.I.C.)

 

Per inviare i vostri articoli, i vostri filmati, le vostre riflessioni, segnalare eventuali problemi o appuntamenti e programmazioni varie relative alle attività dei vari gruppi parrocchiali potete utilizzare il seguente indirizzo e-mail:

redazione@voltabrusegana.it

A seconda del materiale proposto e degli spazi disponibili, i contenuti saranno pubblicati, oltre che nel sito, anche nel bollettino parrocchiale settimanale.

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