“Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita” . Con queste parole Papa Francesco invitava a spalancare il cuore alla tenerezza del Padre, “che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati” (1Pt 1,3) e ha fatto fiorire la nostra vita.
Negli ultimi anni parlare di vita è divenuto un argomento tabù. In passato era imbarazzante parlare del sesso, di alcuni intrighi familiari, oppure dei brogli e dei giochi di potere. Oggi invece è molto facile parlarne (o forse blaterarne), ma questo non significa essere più informati e ricercare la verità sugli argomenti in questione.
Parlare di vita, invece, risulta sempre più difficile. Io stesso quando affronto questo argomento mi sento in difficoltà perché temo di ferire gli altri, di essere frainteso; la stessa politica ne fa un gioco che porta le persone a dividersi tra loro (che è più e peggio di schierarsi), spesso sulla base di argomentazioni accattivanti ma poco pertinenti o semplicistiche da un punto di vista metodologico.
Anche in questi giorni di bagarre mediatica e discussioni nelle quali non sempre noi cattolici brilliamo come segno di civiltà e di amore fraterno proprio a motivo dei toni che si utilizzano per appellarci vicendevolmente (dovremmo essere fratelli), anche in questi giorni, con difficoltà, parlo di questi argomenti.
Arriva, così, la Giornata per la vita e si possono scegliere due strade: ignorare il contesto e celebrare con lodi la grandezza della vita evitando di entrare nelle questioni discusse, oppure cercare di portare la questione a un livello superiore rispetto al chiasso che le gira attorno.
Scelgo questa seconda opzione, perciò faccio un passo a lato e un passo indietro.
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Dio ci cerca, Dio ci aspetta, Dio ci trova prima ancora che noi lo aspettiamo, prima ancora che noi lo troviamo. Direi che Dio lo si trova mentre si cammina, si passeggia, mentre lo si cerca e ci si lascia cercare da lui, come avviene per l’incontro con un caro amico: se le persone desiderano davvero incontrarsi, le loro strade convergono. Da una parte si cerca Dio spinti da un istinto che nasce dal cuore, dall’altra lui stesso, per primo, prende l’iniziativa di venire verso noi: siamo cercatori trovati. Si tratta di un processo di prossimità desiderato e voluto. Il Giubileo che stiamo vivendo è una risposta a quella che chiamiamo “crisi di fede”, alla sensazione che sia difficile che avvenga l’incontro tra l’uomo e Dio.
In questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani abbiamo pregato per noi cristiani divisi, per l’unità della nostra famiglia. Sono passati tanti secoli e ormai è come se ci fossimo abituati a vivere da fratelli divisi: certo non esistono più le lotte e le guerre dei secoli passati, ma nella famiglia cristiana non si è ancora giunti all’incontro e all’unità. Tutto ciò, oltre che una ferita interna seppure anestetizzata dal tempo, rimane un segno di contro-testimonianza. Dispiace assistere a scandali che accadono all’interno delle parrocchie, ma anche questa separazione tra cristiani cattolici, ortodossi e protestanti dovrebbe essere avvertita come qualcosa di cui non andare fieri.
Nei prossimi giorni settimana, ricordiamo ancora nelle nostre preghiere le difficoltà interne alla nostra famiglia: non era questo l’intento di Gesù. Per questo preghiamo e chiediamo il suo aiuto, chiediamo che si risvegli anche un certo disagio in noi, quel sano malessere che fa dire: «possiamo fare di più».
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