Quel profumo del mese di maggio
Ricordo che quando ero bambino le sere del mese di maggio aspettavo con impazienza il suono della campana che giungeva dalla chie-setta situata vicino al negozio di papà e mamma. Una signora dai grigi capelli sia adoperava per tirarne la corda affinché il suono docile si diffondesse per l’intera via.
I primi ad uscire dalle case eravamo noi bambini: chi a piedi, in ciabattine e pantaloncini corti, chi a cavallo della bicicletta, si correva tutti per arrivare presto alla chiesa posta al termine della strada; a seguire era il turno dei nonni e infine delle mamme, che arrivavano dopo aver sistemato la cucina.
Il posto di noi bambini era addossati all’altare della piccola cappella, in ginocchio o seduti sul primo gradino che faceva salire vero la statua della Mamma. Eravamo così vicini a lei che sembrava ci toccasse, ci accarezzasse; era così bella e dolce, con il manto azzurro e gli occhi delicati, che sembrava quasi parlare, e in effetti aveva sempre qualcosa da dire, qualche sentimento buono da comunicare. Noi bambini recitavamo la prima parte dell’«Ave Maria», gli altri rispondevano con la seconda.
Crescendo ho lasciato questa buona abitudine, pensando ingenuamente che fosse una cosa “da piccoli”, eppure prima di addormentarmi, anche nei periodo più scuri della vita, la mia preghiera e il mio ultimo pensiero erano sempre per Maria. Una certa nostalgia di lei, come se mi fossi allontanato dalla mamma, mi rimaneva comunque nel cuore, ma era più facile soffocare questi pensieri piuttosto che prenderli sul serio.